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(READ) INTERVIEW WITH OYOSHE / “Il mio album Stand Up è un diario di viaggio in note”

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Il disco rap campano consigliato per questo mese? Per chi non è legato al mainstream più in voga e preferisce un prodotto che sia una catapulta sulla cultura hip hop “vecchio stampo” la risposta è “Stand Up” di Oyoshe, fuori il 19 maggio nei migliori store digitali e negozi di dischi. Oyoshe o Oyo Waza, rapper e beatmaker di Fuorigrotta, Napoli, nonostante la giovanissima età, si è già fatto ampiamente conoscere a livello nazionale e internazionale. Oltre a far parte di diversi collettivi made in Naples, vedi “Broke n Spuork”(in compagnia del collega Dekasettimo) e “Cianuro Prod.”, ha collezionato diverse esperienze internazionali di rilievo: dal produrre beat per importanti rapper americani e lavorare con mc’s del calibro di Blaq Poet (collega del nome mondiale Dj Premiere), al lasciare la sua firma nella dinamica Barcellona collaborando con l’mc Enes. Con uno sguardo aperto sul mondo e con la voglia di crescere sempre di più grazie ai suoi viaggi, Oyoshe non ha mai dimenticato Napoli, sua città d’origine, dove è ritornato in pianta stabile dopo il suo lungo girovagare. Tra pochi giorni esce il suo primo disco da solista, che lo vedrà nella duplice veste di rapper e producer. Lo abbiamo intervistato per voi.

Come nasce e come si è sviluppato il progetto di “Stand Up”?

L’idea di dare vita a questo disco nasce circa due anni e mezzo fa. Nel 2012 la Beat Notik, brand di abbigliamento hip hop di Barcellona, mi offre l’opportunità di collaborare con i Beroots Bangers, noto gruppo underground spagnolo e in particolare con l’mc Enes, insieme al quale viene fuori una traccia che costituirà la prima cellula di “Stand Up”. L’album è molto personale, è un diario di bordo che racchiude le esperienze reali vissute durante i miei lunghi viaggi. Ogni brano racconta una tappa diversa di questo percorso. Ad esempio il pezzo con Enes parla del legame esistente tra Napoli e Barcellona, soprattutto dal punto di vista dello stile e della passione della musica hip hop. Allo stesso modo, dopo aver lavorato in veste di beatmaker con diversi mc’s americani, mi viene naturale fare un parallelismo tra l’hip hop della mia città e quello americano.

A livello internazionale sei più conosciuto come beatmaker. Con “Stand Up” hai voluto dimostrare a tutti la tua abilità anche al microfono?

Artisticamente le due passioni sono nate insieme. Ma sulla scena internazionale mi sono esposto più come beatmaker perché ritengo che sia più facile esprimersi attraverso la musica e non con le parole. Scrivere ha un peso differente, comporta una responsabilità e c’è bisogno di un percorso più lungo. Volevo raggiungere una certa maturità prima di mettermi alla prova con un album tutto mio. La gavetta è stata lunga, dai mixtape che facevo girare tra i massimi esponenti del genere della mia città, al bazzicare in certi ambienti come quello del Tck Clan e quindi lo stesso dei vari Clementino, Emcee ‘O zi, ‘O Iank e gli altri, dalle battle, ai freestyle, ai cypher. Una lunga formazione pari a quella dei rapper americani della Golden Age, ovvero la mia passione più grande fin da bambino. Sono cresciuto con la loro musicam cultura, mentalità e seguendo i loro messaggi.

Alla luce di questa passione per i rapper americani dell’Epoca d’Oro, secondo te quale è il messaggio che oggi deve trasmettere la musica hip hop?

Per me il messaggio principale della musica hip hop è quello del vivere la strada in maniera giusta e sana. Rappresenta uno spiraglio di salvezza per evitare i fattori negativi insiti nella strada stessa, uno sbocco, una via d’uscita. Non a caso il titolo del mio disco è “Stand Up”, ovvero restare in piedi, rimanere saldi. Come? Acquisendo i valori tipici della cultura hip hop. “Peace, love, unity and havin’ fun”, cantava Bambaataa. Quindi, preservare noi stessi attraverso questo genere che ci permette anche di diventare più analitici e osservatori. Ad esempio grazie al freestyle, cioè improvvisare rime su ciò che ci circonda, si comincia a guardare tutto con occhi diversi, con attenzione e dovizia di particolari.

“Stand Up” sarà in italiano o in dialetto? Quali le collaborazioni?

In entrambi i modi, ma soprattutto in napoletano perché costituisce la mia piena maturità stilistica. Pensando principalmente in dialetto, da anni ho sempre fatto freestyle in dialetto. Utilizzare la lingua partenopea significa avere uno stile libero, essere spontaneo e richiamare il canone di rap che preferisco cioè il rap americano. Lo slang napoletano si avvicina molto più allo slang statunitense rispetto a quello italiano. Questo non significa che noi rapper campani non siamo originali o vogliamo “pezzottare” gli americani, ma soltanto che li riconosciamo innegabilmente come i nostri maestri. Riguardo alle collaborazioni ce ne sono diverse e con quasi tutti ho avuto un contatto diretto e reale. Non ho lavorato tramite internet o tramite messaggi, come si è soliti fare oggi. Nel mio album ci saranno: Enes da Barcellona; Op Rot e Lucariello insieme sulla stessa traccia uniti dalla loro vena poetica; Sandro Su di Termoli; ShaOne de La Famiglia, per me un grande onore; Dekasettimo e Raz, componenti della mia crew: Cianuro Prod.

Il primo video “Dentro/fuori” uscito per preannunciare “Stand Up” è abbastanza diverso dagli stereotipi attuali. E’ una risposta contro la commercializzazione del genere?
Il primo singolo estratto “Dentro/fuori” è indubbiamente molto hardcore. Posso anticipare che nell’album ci sono tracce ancora più forti e underground. Di sicuro “Stand Up” non rispecchia gli stereotipi nazionali attuali, ma ha al suo interno un’armonia. Spero di raggiungere anche un vasto pubblico che non si debba adeguare o adattare al mio lavoro, ma soltanto armonizzare col mio modo di fare rap. Voglio far conoscere la mia cultura, far valutare la mia musica senza modificare i miei gusti a seconda delle tendenze del momento. Perché si trovi il giusto punto d’equilibrio, non vi resta che ascoltare “Stand Up”.

Eugenia Conti

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