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(READ) RECORD REVIEW / Odio Pieno dei Colle Der Fomento (1996)

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Veniamo dal basso come un gancio al mento…
(proto-recensione di “Odio Pieno”, disco d’esordio dei “Colle Der Fomento”, Mandibola Records)

No, non ho sbagliato frase. No, non ho neanche sbagliato album. So bene che il disco che sto per recensire precede “Ghetto Chic” (il singolo che contiene la frase in questione) di oltre un decennio, come so bene quanto i due lavori a livello “stilistico” non siano comparabili.
Quindi? Cosa accomuna questa frase, relativamente recente, (oltre agli autori stessi, ovviamente), al primo progetto dei Colle Der Fomento, pubblicato 11 anni prima?

Veniamo dal basso come un gancio al mento…

Quando sentii “Odio Pieno” per la prima volta, ricordo di averci collegato subito questa frase.

Ho 22 anni, ovviamente non ho vissuto il periodo d’oro in cui furono pubblicati questo ed altri lavori rimasti nella storia della Doppia italiana. Ammetto di aver conosciuto i Colle durante la mia adolescenza, proprio tramite “Ghetto Chic” ed “Anima e Ghiaccio”, lo stesso anno in cui fu pubblicato. Ne rimasi folgorato, cominciai a scavare a ritroso nella loro discografia fino ad arrivare appunto ad Odio Pieno, quando già ero completamente infottato dagli altri loro lavori.
Come dicevo, ricordo di aver pensato subito a quella citazione…
Dal basso. Come un gancio al mento.
Pensai sin da subito che non ci sarebbero state parole migliori per descrivere quell’album, qualsiasi altra definizione sarebbe stata forzata, oltre che superflua.
Ma andiamo per ordine, preciso: quella che sto per scrivere non sarà una vera e propria recensione. O meglio, sarà il ragazzino grezzo, “puro”, infottato e “incontaminato” che ero quando ascoltai questo lavoro, a recensirlo per me.
Detto ciò, si può iniziare.

Immaginate un diciassettenne armato di cuffiette, in un bus notturno per Bologna, rannicchiato su un sedile troppo stretto, con il naso sul finestrino, immerso fra gli odori degli insaccati provenienti da quasi ogni zaino di ogni pugliese che si rispetti ed il russare generale degli aliti fini circostanti.
Lato oscuro.
…Play.
Ricordo che all’inzio confusi il respiro affannato dell’intro con il russare del mio vicino di viaggio, tanto da averlo rimesso dall’inizio 3 volte. Che cazzo…
Ogni dubbio si dissolse comunque presto col partire del basso.
“Dooooun, DoDooooun, DoDoooun, DoDooooun….”
Semplice, puro, grezzo, cattivo.
E via col drumming, e il sample.
Semplice, puro, grezzo, cattivo.
Quando mi chiedono, ancora ora, un parere su Ice One (all’epoca, appunto, appartenente al gruppo e produttore dell’intero lavoro), la mia risposta è concisa: è il lato oscuro.
Semplice, puro, grezzo, cattivo.
E mentre uno degli intro a mio parere più riusciti della storia andava e nei timpani richieggiava quel “Colle der fomentooo” in loop, pensai che quello che stavo per fare sarebbe stato un ascolto non così facile come mi aspettavo, ma allo stesso tempo SEMPLICE, PURO, GREZZO, CATTIVO.
Qualche secondo dopo, la conferma:
“…faccio rap, solo rap, tu ci ridi sopra
ci giochi ma col rap non ci si gioca,
sai che flippo hardcore…” Solo Hardcore.
Qualche tempo fa mi capitò di leggere qualcosa del Danno, mentre parlava di questo disco. Lessi che nella sua realizzazione si erano ispirati ai Cypress Hill e ai SangueMisto (nel 96-97 entrambi i gruppi cavalcano già la propria rispettiva onda).
Credo che non avessero già da allora nulla da invidiare rispetto ai loro “modelli di riferimento” e nella seconda traccia si può intuire il perché.
Il disco scorre lento, rinondante, cupo.
Pezzi come “Quello che ti do” o “Quando verrà il momento” lasciavano già intravedere quella maturità artistica a cui ero abituato nei precedenti lavori, ma capisco già subito che la prima fatica ufficiale dei Colle era esattamente la rappresentazione spiccicata di quello che erano a quei tempi. Ragazzi infottati, fomentati appunto, “ingenui” nella loro “freschezza”, ma non stupidi, e soprattutto a metà fra l’essere incazzati e menefreghisti. In poche parole, proprio come, col senno di poi, ricordo e capisco di essere stato all’epoca di questa storia, ripensandoci.
Articolato nella sua semplicità, pieno e puro nel suo essere grezzo e grezzo e sporco nella sua purezza, quasi confortante nella sua “cattiveria”.
E poi ancora, “PornoRockers” e “Funk Romano”, perchè siam cupi, ma sappiamo prenderci e prendervi bene.
E poi, mentre il tizio accanto stavolta sovrastava davvero la musica col suo russare gracchioso, ecco “Ciao Ciao”.
Un esperimento quasi. Il convivere sullo stesso beat di stili opposti. Azzeccato.
Il Danno e la Beffa (Masito all’epoca), insieme a Piotta (prima che scoprisse la mossa del giaguaro, ma dopo essersi staccato proprio dai Colle nella loro precedente formazione “Taverna Ottavo Colle”) e Kaos One (che già veniva da anni di esperienza in campo, rappando sia in inglese che in italiano.)
“Ciao Ciao” è un “manco vi cago” a tutto il resto, e lo si sente pure bene. “Wappissimo”, ricordo di aver pensato.
E ancora, ancora e ancora.
Rabbia, voglia di dimostrare, di “strappare e scuotere”, quel senso di appartenenza  alla propria realtà, alla propria terra, al proprio colle.
“Odio Pieno” rappresenta tutto ciò e molto altro.
Sono metriche lineari e crude, voci non del tutto mature ma flow già rimarcati, un grido d’esistenza al mondo di un gruppo di ragazzi semplici, ma che era destinato a diventare storia.
Sembra quasi che già lo sapessero. Sapevano che il conto sarebbe arrivato quando, non a caso, “sarebbe stato il momento” (semicit.)
Quel grido che ora viene fuori possente e sicuro, ma che all’epoca era “di stomaco”.
E già da allora, appunto, veniva orgogliosamente DAL BASSO, proprio come me in quel bus, ma proprio COME UN GANCIO AL MENTO puntava in alto, proprio come me all’epoca ( e perchè no, anche ora.)

GiroWeedz

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