INTERVIEW WITH PAURA / Buone note come il buon cibo: da consumare piano

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Vi ricordate La Famiglia? Quelli di “Mazz ‘e panella fanno ‘e figli belli, panella senza mazz’ fanno ‘e figl’ pazz”, ovvero i primi a lanciare il rap a Napoli insieme ai 13 bastardi e a Speaker Cenzou? Parliamo della prima generazione, della “Golden Age” partenopea senza la quale oggi non sarebbe mai potuta esistere questa diffusione virale del genere. E tra i componenti della vecchia crew, spiccava tra i vari nomi, quello del rapper Paura.

Francesco “Paura” Curci, alias il king o Mister Curci, come lo chiamano i suoi colleghi, è stato un grande maestro per moltissimi della scena attuale.

Dalla carriera in gruppo, è passato a quella solista, senza mai perdere la sua tecnica raffinata. La sua passione per la cucina e la sua abilità ai fornelli, che poi l’hanno portato a scrivere SlowFood, suo ultimo progetto musicale.

Come nasce l’idea di SlowFood?

SlowFood nasce innanzitutto dall’idea di fare un parallelo tra la buona musica e la buona cucina. La mia critica a molti dei prodotti musicali degli ultimi tempi é che quest’ultimi sono diventati quasi “usa e getta”. Quando abbiamo iniziato noi essere veloci significava sfornare un album ogni due o tre anni, oggi i nuovi rapper ne pubblicano uno all’anno. Ciò significa andare contro alla qualità, curando di meno dettagli e particolari a causa della fretta. Invece, il lavoro di un’artista deve essere di continuo labor limae. Nella musica ci vuole la stessa pazienza e dedizione che si mette in cucina per la creazione di qualcosa. Così come a tavola, è meglio stare seduti mezz’ora in più a godersi maggiormente il cibo, piuttosto che cadere nella trappola della globalizzazione alienante sotto forma di fast-food. Il messaggio dell’album è di ritornare un po’ alle tradizioni, ma senza negare sound all’avanguardia e uno sguardo al futuro. Una filosofia slow, insomma, ma che trovi la giusta alchimia tra gli ingredienti. Una filosofia slow tipica di un’artista Old School.

Ritieni che anche l’attuale New generation campana sia stata in grado di trovare la giusta alchimia tra gli ingredienti?

Questa è la terza ondata di rap a cui assisto in prima ed in terza persona. La prima é quella che ovviamente mi ha influenzato maggiormente: il periodo delle Posse. L’ultima ondata forse qualitativamente parlando è la peggiore perché l’hip hop è diventato troppo popolare, nell’accezione negativa del termine. Sono favorevole a portare la musica a quanti più ascoltatori possibili, ma facendo adattare i gusti delle persone alla nostra cultura e non il contrario. Specie se si tradisce l’essenza del genere esclusivamente a fini di vendita. Detto questo, ho comunque influenzato, contaminato tanti ragazzi e come ogni generazione ci sono quelli eccellenti, quelli bravi e quelli meno bravi.

E chi sono per te le eccellenze di oggi a livello locale? Fai dei nomi.

Se proprio devo fare dei nomi ti dico che mi piacciono Clementino, già di una generazione posteriore alla mia e Peste Mc. Ma tra le eccellenze sono compresi tutti i ragazzi che ci mettono passione e cognizione di causa nel fare la propria musica, non tralasciando una dose massiccia di contestazione.

All’epoca de La Famiglia eravate l’emblema della contestazione. Quali i cambiamenti in generale da allora? E quelli per Paura?

A quei tempi eravamo visti come gli alieni. Quando andavamo in giro con i pantaloni larghi ed i cappellini girati al contrario, ricordo che ci guardavano davvero come se fossimo esseri non appartenenti a questa terra. Il nostro look anticonformista insomma creava già una forte forma di contestazione. C’era una differenziazione tra noi ed il resto del mondo individuabile immediatamente proprio a livello di impatto visivo, percettivo. Oggi, i giovani vestono per la maggior parte con un’influenza hip hop e, magari, andare contro corrente significa indossare il maglioncino e la camicia, come me in questo momento. (Ride) Il rap, comunque, è necessariamente fonte di contestazione perché nasce da un sentimento di rivalsa, per dare voce al popolo. Ma essendo oggi un genere di moda, non tutti sfruttano il suo punto di forza: la denuncia. Quindi, passano messaggi stupidi. Io, invece, ho sempre avuto una visione molto personale del rap. Perciò mi ritrovo a parlare delle mie problematiche, di quelle che affrontano le persone che mi sono vicine o i miei amici, nel luogo in cui vivo e nel mio background.

In tutti questi anni non hai mai lasciato l’agro-nolano, luogo in cui vivi e in cui hai cominciato come MC…

Si, sono assolutamente legato alla mia terra nolana. A differenza di tanti colleghi che hanno preferito trasferirsi a Milano per abitarci e lavorarci, io non lo farei mai. Perché mai? Ritengo che proprio gli artisti debbano essere i più attaccati all’ambiente in cui vivono, debbano respirare costantemente l’aria da cui provengono per poter raccontare e per poter farsi voce dei propri concittadini. Nola che affronta la tragica problematica della Terra dei Fuochi, città vicina a paesi ad altissima concentrazione camorristica, ha bisogno inevitabilmente del suo humus o substrato musicale per non crollare e potersi risollevare. Ma ha bisogno anche del suo humus culinario. (Ridiamo)

Vista la tua fama ai fornelli, per concludere lasciaci una tua ricetta speciale.

Paccheri di Gragnano con zucca, gamberi e rucola: si soffrigge l’aglio fino a rosolarlo. Poi lo si toglie e si fa cuocere la zucca a fettine sottili in modo che in parte si spappoli. Si sbriciola un amaretto e lo si aggiunge alla zucca. Dopo una decina di minuti si aggiungono i gamberi. A fine cottura dei gamberi, si aggiunge parte della rucola. Infine si condiscono i paccheri guarnendoli con un pò di rucola a crudo. Metà della rucola va cotta e metà no… E il piatto è pronto!

Eugenia Conti

INTERVIEW WITH 99 POSSE / Curre curre guagliò 2.0: i guagliuni oggi corrono di più

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Sono passati più di venti anni da quando hanno iniziato, ma di smettere di correre i mitici “guagliuni” non ne vogliono proprio sapere. E così “Curre, curre Guagliò”, primo album dei 99 Posse, si fa 2.0. Uscito martedì in tutta Italia e presentato in anteprima alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri a Napoli, lo storico pezzo che dà il titolo anche a quest’album torna arricchito da novità e numerose collaborazioni. Da Alborosie ai Sangue Mostro, da Clementino a Mama Marjas, da Francesco di Bella a Enzo Avitabile con i successi più famosi riproposti in moderni ricampionamenti, da “Ripetutamente” a “O documento”, da “Rigurgito antifascista” e “Rappresaglia”. Tutto da ascoltare, tutto da recepire, tutto da ballare.

I 99 Posse sono stati artisti fondamentali per la Napoli degli anni ’90 e per quella gioventù. Capostipiti del fenomeno delle posse, pietre miliari di una generazione e di un genere musicale definito da loro stessi “bastardo”, precursori dell’attuale musica raggamuffin e rap napulitana, oggi non smettono di sorprendere e di far parlare di loro.

Militanti nell’anima, hanno fatto bruciare, accendendoli di passione, i cuori di tanti ragazzi e “non un passo indietro”  vogliono fare, come suggerisce il sottotitolo sdi “Curre Curre Guagliò 2.0”.

“Non rimpiangiamo e non neghiamo nulla di tutto quello che abbiamo fatto fino ad oggi”, ci racconta, infatti, ‘O Zulù con la consueta grinta da combattente.

Dopo essersi sciolti agli inizi del 2000 e essersi ritrovati nel 2009, per l’estrema felicità di tutti i seguaci della band, Luca Persico, al secolo ‘O Zulù, ci fa rivivere in questa intervista la sua carriera ed il percorso insieme a Massimo Jovine, Marco Messina e Sasha Ricci, durante questi due lunghi decenni.

“Curre Curre Guagliò 2.0”. Perché riproporre oggi il vostro primo disco? Cosa rappresenta per i 99 Posse? E cosa rappresentano per voi gli artisti che avete scelto per i featuring?

“Curre Curre Guagliò è il nostro primo disco e ce lo siamo portati dietro dal primo all’ultimo concerto, inserendo in scaletta nei live buona parte dei brani che c’erano al suo interno. Dunque, dopo venti anni che continuavamo a suonarli e a modificarli un po’, remixandoli, riarrangiandoli e così via, in occasione del ventesimo compleanno dei 99 Posse, abbiamo pensato di risuonarlo e di ristamparlo. Venti anni fa era un disco che si rivolgeva solo al nostro piccolo pubblico, ai nostri compagni di lotte e di occupazioni, era un po’ il manifesto del nostro Centro Sociale, Officina. Era apprezzato anche da chi era un po’ ai margini, da chi si sentiva solo in periferia, da chi non riuscivano a trovare qualcuno che li rappresentasse: il nostro album era un mezzo per identificarsi, il megafono dei loro pensieri.

E oggi?

Oggi, lo abbiamo aggiornato musicalmente, nei contenuti. Ma anche con moltissime collaborazioni, spaziando tra vari artisti sia all’interno della nostra area, come la Banda Bassotti, che in aree contigue. Tutti i cantanti presenti, però, sono stati, chi più e chi meno, influenzati dalla nostra musica. Quindi, arricchire l’album con una loro testimonianza crediamo lo abbia reso nuovamente unico. Come sempre ci siamo espressi in napoletano, la nostra lingua, perché le nostre canzoni hanno il macro-obiettivo di descrivere chi siamo. E farlo in una lingua differente da quella che parliamo sarebbe stato strano, specie a distanza di venti anni.

Ora lo porterete in giro, come allora. Ma oggi, più di allora, si parla maggiormente di liberalizzazione delle droghe leggere, specie a fini terapeutici. Il tuo modo di stare sul palco, da allora, è cambiato? Te le fai ancora le fumate nei live?

Non ho mai smesso. Proprio la settimana scorsa durante un deejay set me ne hanno passate due. (Ride) E’ una mia costante. La battaglia è importante e non cambierei mai rotta, per piccole minacce o avvisi ricevuti da gente del Sistema. La canapa, aldilà degli effetti ludici, ha tanti effetti importanti: è un combustibile alternativo, ha scopi terapeutici, è un prodotto tessile molto resistente, vi si possono costruire i mattoni. Quindi la canapa, da sola, metterebbe in crisi tre delle lobby che governano il pianeta, cioè del petrolio, del mattone e delle case farmaceutiche. Solo per questo la marijuana è illegale e combattuta con tanta rabbia, non certo perché quando la fumi ti sale una piccola “capata”. Sicuramente, la “capata” è uguale o minore a quella data da una bottiglia di whisky, sulla quale lo Stato mette il suo bel marchio.

Torniamo al disco e al ricambio generazionale. Cosa è cambiato in questi venti anni per i 99 Posse?

Per i 99 Posse è cambiata solo l’età anagrafica. Certo, un po’ di angoli sono stati smussati, ma non abbiamo avuto nessun ripensamento sulle posizioni fondamentali che abbiamo preso in questi anni. Nessun ripensamento neanche sulla collocazione: restiamo nelle periferie da cui siamo partiti, perché il nostro obiettivo non è mai stato guadagnare un posto al centro, ma portare il centro nelle periferie. E siamo orgogliosi di essere di periferia e di rappresentare l’alteritá, la diversità.

E Napoli e la sua gioventù per Zulu in questi 20 anni sono cambiate?

Napoli in questi venti anni è cambiata tantissimo ed a primo acchitto sembrerebbe cambiata in peggio. Ma guardandola da un altro punto di vista non è necessariamente così. Oggi, dal punto di vista dello stimolo dal basso della cultura e della politica, il quadro è molto più ricco rispetto all’inizio degli anni ’90. Ad esempio, solo analizzando l’aspetto delle occupazioni: adesso ci sono più di 15 case occupate a Napoli, nel ’91/’92, prima di noi, non ce n’era nemmeno una. E se oggi entro nei centri sociali, mi accorgo di non conoscere quasi più nessuno. Quindi il ricambio generazionale c’è stato. Ció che è diverso sono i riflettori: non più puntati verso le parti ribelli della città. Perció, attualmente, può sembrare che, dopo i 99 Posse, non ci sia stato più nulla di concreto e che sia tutto fermo, ma in realtà non è così. C’è fermento.

Questo ricambio generale e fermento di cui parli, c’è stato, ovviamente, anche in ambito musicale. Sono molti gli artisti che hanno preso le mosse da voi. Chi considerate il vostro erede musicale, che possa rappresentare oggi la voce della città, a Napoli?

Volendo filosofeggiare ci sarebbe più di un erede, ma non riesco a trovare un vero e proprio prosecutore di quello che abbiamo iniziato. Se proprio devo rispondere con dei nomi, posso fartene alcuni di nostri coetanei come i Sangue Mostro o Mariotto. Poi, riguardo ai nuovi, la scena è ampia ed ho notato che si intrecciano tutti gli uni con gli altri. Fanno tantissimi featuring, quasi non si capisce più un pezzo stia sul disco di uno, piuttosto che dell’altro con cui si è collaborato. Espressione di una volontà di base di fare gruppo. La grande differenza con noi è questa. Oggi i giovani artisti fanno gruppo, noi invece facevamo collettivo. Per questo, spesso, manca la consapevolezza della propria identità di classe. Nel complesso, però, sono positivo ed ottimista nei confronti della nuova generazione napoletana, sia musicale, che militante.

Addirittura, ieri c’erano più ventenni, che quarantenni alla Feltrinelli a Napoli alla presentazione del disco. Cosa significa? Non sarà per il featuring con Clementino? (Ridiamo)

Significa semplicemente che qualcosa sta cambiando. I giovani oggi hanno voglia di imparare, di confrontarsi, vanno alla ricerca dei contenuti. Siamo di fronte a una mutazione, non ho dubbi: non tanto nei gusti musicali, quanto nelle aspettative che si hanno nella musica, nella cultura, nella politica, nella società. Vent’anni non sono passati invano.

Ma oggi, nel 2014, dove è la Sinistra a Napoli, al Sud? Serve ancora seguire delle ideologie politiche o piuttosto bisognerebbe unire le forze sane per riscattare la città ed il meridione?

Per noi l’ideologia resta importante e ci sono nozioni da cui non possiamo separarci. Ma, detto questo, è certo che il nostro Sud, che ha una marcia in più, dovrebbe essere valorizzato anziché versare in queste condizioni di sfruttamento. Ogni classe del Sud, dalla più povera a quella dirigente, è vittima delle storture che derivano dall’Unità d’Italia. Unità che non è stata un’unificazione popolare, venuta dal basso ma che in realtà altro non è stata che un’annessione di uno Stato che ha perso da parte di uno Stato che ha vinto. Oggi assistiamo al colonialismo del meridione. Per fortuna ci sono anche i mezzi per comprendere e rifiutarsi di sottostare a certi poteri. Dico sempre scherzando che qui a Napoli affrontiamo bene la crisi perché siamo in crisi da 150 anni… È una battuta, ma poi sono convinto, oggi come vent’anni fa, che bisogna combattere per il nostro riscatto.

 Eugenia Conti

INTERVIEW WITH LUCARIELLO / Tutta la sua storia: dal Clan Vesuvio fino ad oggi

 

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Sulla scena musicale dagli anni ‘90, Lucariello è un rapper con profonde radici ancorate a Napoli, città che non ha mai abbandonato nel corso della sua carriera. Artista eclettico, certo non neutro, sempre pronto a denunciare le “storture” della società, già dal ’97, anno in cui fondò il suo gruppo storico Clan Vesuvio, cantava contro il potere costituito e l’Italia matrigna. Lo abbiamo incontrato nel backstage della Casa della musica, durante la tappa napoletana del “Mea Culpa Tour” di Clementino. Dietro le quinte, Luca guarda soddisfatto una nuova generazione dell’hip hop campano che cresce e che si fonde con i vecchi pilastri del genere come lui. Se ne sta quasi in disparte, con l’aria di chi, in quell’occasione, preferisce essere più spettatore, che attore. Tutti coloro che seguono il genere conoscono il suo lungo percorso: dal già citato Clan VesuvioD agli Almamegretta, concludendo con la carriera e gli album da solista, che sembra non voler smettere di “sfornare”. “Ho appena iniziato a lavorare a un nuovo disco, ma è ancora tutto in elaborazione, non c’è ancora qualcosa di pronto – ci racconta – ma posso dirvi che sto cercando di mettere insieme la caratteristica del mixtape, in cui ci saranno più voci”. Nei suoi occhi, mentre ascolta le esibizioni che si susseguono sul palco, si legge l’orgoglio di essere stato un’ispirazione per quella musica, che oggi è così seguita ed apprezzata da tutti.
Canti da quasi venti anni… chi ti piace di questa nuova generazione dell’hip hop campano?

Mi piace molto in generale la scena più giovane dell’hip hop campano: tutti i nuovi rapper che stanno emergendo, in primis Rocco Hunt. I ragazzi, oggi, a differenza nostra, hanno molta più possibilità di fare buona musica hiphop, perché loro sono già cresciuti con questo genere nelle orecchie. Mentre ai miei tempi, la massa ascoltava altra roba ed eravamo un po’ i primi a cimentarci. Non sono mai stato un purista, mi è sempre piaciuta una commistione del rap con altri stili. Già nel ’97, quando creammo il Clan Vesuvio e poi nel corso della mia carriera ho sempre mescolato il rap ad un genere più melodico, che richiamasse la sonorità delle antiche canzoni napoletane. Binomio che viene molto utilizzato anche oggi. Si pensi a pezzi come “O Vient” di Clementino o “Nu juorno buono” di Rocco Hunt. Penso che il rap campano, Old e New School, sia molto forte rispetto alla media nazionale.
Old e New… Che differenze noti nei rapper napoletani di ieri rispetto a quelli di oggi, sia musicalmente, che ideologicamente?
Nel mondo musicale di ieri c’era molta più attenzione tra i giovani rapper alla politica. In quel periodo il rap era strettamente legato al fenomeno dei centri sociali, centri di aggregazione molto forti, come Officina 99. Del resto il palco su cui mi sono esibito per la prima volta era un luogo di pura contestazione, l’habitat ideale per chi volesse fare questo tipo di musica. Oggi, invece, il primo palco di un ragazzo può essere quello di un locale, di un club. Attualmente, in ogni locale della città, in genere, c’è una serata durante la settimana dedicata all’hip hop, dove si fanno anche free-style. Oggi è diventato un fenomeno di massa. Molto ha contribuito il film di Eminem. Per la prima volta, con 8 Miles, sul grande schermo la realtà delle battle diveniva di dominio pubblico. Prima era una cosa veramente per pochi. Ora quando c’è l’esasperazione del genere diventa quasi un karaoke. Non dico di essere contrario alla diffusione del genere perché rispetto a ieri la scena è diventata molto più competitiva, ma gli aspetti negativi ci sono nel momento in cui l’hip hop si va a sciupare di contenuti. Oggi giorno, non vendendosi più tanti dischi quanto prima, trovandoci nell’era del web, ci sono gli sponsor che comandano anche a livello contenutistico. Il rap campano, però, tende sempre a non farsi limitare o censurare.

Rocco Hunt ha portato a Sanremo un pezzo che canta del riscatto del Sud, senza censure. L’hip hop campano moderno può essere ancora un mezzo di denuncia della realtà e di rivendicazione?

Si, riprendendo i vecchi “Cantastorie”, che raccontavano realtà difficili e si contrapponevano a quello che era il potere costituito, oggi l’hip hop può essere ancora un mezzo potente nelle mani di un Mc. I contenuti, poi, sono scelti da chi canta. Tanto puoi parlare soltanto delle parti basse di una donna, tanto puoi parlare di cose spirituali o politiche. In questo momento storico, i temi che sono legati alla situazione del Sud Italia sono presi in considerazione dall’hip hop e possono destare anche un certo interesse. Purtroppo, però, c’è anche molta strumentalizzazione dietro questo roba, non degli spunti concreti che possano smuovere veramente un popolo o delle coscienze. Sento molta retorica, sia in eccesso, che in difetto.
Invece, senza retorica, quale è il tuo punto di vista in merito alla situazione del Sud?

Partiamo dal fatto che scrissi un brano in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, dal titolo “I nuovi mille”. Col mio solito stile, volevo creare una provocazione sul tema. Come già avevo fatto nell’altro mio pezzo: “Cappotto di legno”, che parlava di Saviano, mi ero messo nei panni di un killer, sempre a fini provocatori. Nell’operazione legata a commemorare i 150 anni d’Unità d’Italia, il mio intento era quello di prendere in giro i festeggiamenti. Il messaggio della canzone, però, è stato un po’ travisato. Non è passata la provocazione agli occhi di tutti. Alcuni ci hanno visto, addirittura, la celebrazione. Cosa che non volevo assolutamente. Ritengo che per il Sud non ci fosse e non c’è proprio nulla da festeggiare.

Per te l’Italia unita è stata la tomba del Sud? Quando oggi Grillo ed il movimento 5 stelle arrivano a parlare di secessione la ritieni una giusta soluzione?

Al momento il Movimento a 5 stelle è l’unica realtà che sento vicina. Sebbene abbia grandi limiti e sia senza un’ideologia è la sola realtà che si salva nello scenario politico nazionale odierno. Secessione? Penso che sia necessario risolvere prima il fatto che siano stati uniti forzatamente dei popoli che parlavano lingue diverse, con modi di vivere, usanze, tradizioni completamente diversi e che c’é stata una disparità di trattamento per oltre un secolo e mezzo tra le due parti del Paese, a sfavore del Sud. Oggi, le Regioni, enti che potrebbero avere un ruolo potente ed una forte autorità contro il potere centrale, non sono in grado di gestirsi, di tirare fuori un’identità regionale vera. Quindi, va rivisitato il tutto e poi si potrà decidere in merito ad un’eventuale secessione. Certo è che non si può trattare una città come Napoli, come se fosse una delle tante città d’Italia. Napoli è storicamente una Capitale, una città con un suo fondamento, con una sua cultura leggendaria, da sempre importantissima per il resto di tutto il Meridione. Fin quando sarà discriminata, non si risolverà mai la questione meridionale.

Secondo te hanno colpe anche le istituzioni locali per la mancanza di attenzione alla centralità della cultura?
Le problematiche di Napoli sono le stesse che ha il mondo intero, ma solo perché accadono qui sono ingigantite di diritto. Comunque, la questione dei luoghi comuni non è solamente legata alla disattenzione alla centralità della cultura. Le istituzioni locali, pur avendo le loro colpe, secondo me, non possono fare più di tanto, rispetto a ciò che muove il governo centrale. Quindi non mi sento tanto di criticare più di tanto quello che stanno facendo adesso rispetto a quello che è stato fatto in passato. C’è una situazione molto complicata e questi problemi dovrebbero essere risolti a livello non solo locale. Ma finché siamo in una nazione come questa la vedo dura. Per non parlare dei mass-media nazionali che sono delle pattumiere. Speriamo che internet funga da ancora di salvataggio rispetto a quest’informazione così fuorviante. La disinformazione contro Tg, tv e media deve partire dal basso, da ognuno di noi.

Il contrattacco ai mass-media puó essere sferrato anche attraverso la musica?

Ovviamente. Credo non ci sia modo migliore. Il compito di un’artista è quello di raccontare storie, il proprio modo di vivere. La musica è arte, ti permette di dire ciò che vuoi, ciò che senti, anche cose forti e dure. Bisogna far attenzione a non dare messaggi sbagliati, dato il nostro ruolo pubblico, ma non bisogna mai fingere di essere dei modelli, erigersi ad esempi di moralità o censurarsi in alcun modo… La musica é verità!

Eugenia Conti

INTERVIEW WITH SANGUE MOSTRO / L'unica scuola da seguire è la True School. Così nasce CuoRap

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Ekspo, Ale Zin, Speaker Cenzou e Dj Uncino. Nomi che gli appassionati del genere hip-hop non possono non ricordare. Quattro artisti partenopei storici, con radici lontane, ex componenti di gruppi  epici come i 13 Bastardi, che hanno creato la storia del genere rap a Napoli, quando questo tipo di musica era ancora un fenomeno di nicchia, “underground” e non un fenomeno di massa, come oggi. Ma i quattro, non ancora appagati da venti anni di carriera sulle spalle, con esperienze anche come solisti, decidono di reinventarsi, di ricrearsi, di evolversi: i Sangue Mostro nascono così. Dove il sangue allude palesemente a quello del miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro, messaggio di speranza e di magia per tutti i devoti. Un miracolo sia per i veri e propri fedeli, che per coloro che, semplicemente, vogliono crederci, inteso in una dimensione non meramente religiosa, ma piuttosto tradizionale e popolare.

“Il miracolo di San Gennaro è parte integrante della nostra cultura, ci crediamo in quanto napoletani, non in quanto cattolici o cristiani”, ci racconta Ekspo nel backstage del Palapartenope, in occasione della tappa napoletana del Mea Culpa Tour del collega Clementino. Li abbiamo conosciuti li i quattro pilastri del rap campano, vestiti con i loro felponi ed i “cazoni” larghi cascanti, completando il look da Mc con il tipico cappellino a visiera con su il proprio logo. Sembrano proprio i writer di una volta, quelli che con le bombolette “imbrattavano” di street-art i muri della città. Old School nell’anima, hanno l’aria saggia di chi ha vissuto e ne ha tante da raccontare, come di chi sa di essere il maestro, ma non per questo diventa meno umile o simpatico.

Ekspo, infatti, detto ‘O Tedesc, per gli amici Sandrone, scherza tutto il tempo con Speaker Cenzou dietro alle quinte, in attesa dell’esibizione sul palco. Canteranno, di li’ a breve, “Rinascimento”, il brano featuring la Iena, estratto dal loro recentissimo,“CuoRap”. Dodici mesi fa, avevano dichiarato: “Stamm’ arrivann!” e, dopo un anno di distanza, il disco, attesissimo da fans e cultori della materia, finalmente è uscito. Noi li abbiamo intervistati per voi.

E finalmente è CuoRap. Cosa rappresenta l’uscita dell’album in questo momento della vostra vita e dopo un lungo percorso artistico. I Sangue Mostro chi sono oggi?

In quest’album abbiamo voluto comunicare e riportare un messaggio che partisse dal cuore: il nostro batte per la musica rap. Quindi Cuorap. Dopo venti anni di carriera, in cui ognuno di noi ha percorso la propria strada con deviazioni diverse e, a volte, intersecate, volevamo descrivere oggi al meglio ciò che è stata la nostra crescita sia personale che artistica. Il disco è una sorta di rhyme-book fotografico, dove ogni fotogramma rappresenta un tassello della nostra vita. E’ un lavoro più maturo. Alterniamo le canzoni di puro “pariamento”, a quelle riflessive. Non c’è solo spensieratezza ma c’è anche la visione di persone ormai adulte che si pongono amari dubbi, domande. Lo abbiamo creato dando voce oltre che alla nostra anima, anche alla nostra città. Perciò, ci siamo espressi in napoletano, cioè nella maniera più naturale, viscerale ed a noi consona. Una dedica a Napoli, insomma.

Voi per Napoli siete i pionieri, i padri di un genere. E Napoli per i Sangue Mostro perché è motivo di dedica?

Perché è una città che si può anche lasciare, ma mai abbandonare. Anche se, ad esempio, per causa di forze maggiore, un domani si dovesse partire verso altri porti, alla ricerca dei famosi tre punti, possiamo metterci la mano sul fuoco che, dopo, sicuramente, faremmo ritorno qui a casa e con la vittoria in tasca. Napoli è la nostra terra è tutto e non potevamo non usarla come fonte di ispirazione per i brani di CuoRap.

Brani come 71, primo estratto da CuoRap, feat. Francesco Villani, ha per ispirazione Napoli?

A chi è rivolto questo numero della tradizionale smorfia napoletana, ragazzi? (ridono).  Per i lettori che non lo sapessero, il numero 71 nella smorfia napoletana rappresenta “l’omm ‘e merda”, cioè una persona senza scrupoli, meschina ed arrivista. Ed ora, per rispondere rigiriamo la domanda. Chi non ne conosce almeno uno di 71? Nel pezzo, analizziamo vari casi e menzioniamo i comportamenti, gli usi ed i costumi del perfetto “gentlemerd”. Non è rivolto a qualcuno in particolare. Diciamo che, come nel galateo del Monsignor Della Casa, questo brano elenca un po’ le regole dell’ineccepibile personaggio in questione, con la collaborazione del bravissimo Francesco Villani.

CuoRap è ricco di collaborazioni con artisti e colleghi rapper napoletani. Ritenete che l’hip hop campano rispecchi più la vera essenza del genere rispetto a quello italiano?”

Si, sul disco ci sono featuring con tantissimi amici e colleghi. Da Clementino, a ‘Ntò (ex Co’ Sang), da ‘O Zulù dei 99 Posse, a Valerio Jovine. In “Napoli pt.3”, poi, c’è buona parte della vecchia e nuova scuola della nostra città (nomi del calibro de La Famiglia o di Kimikon Twinz). In questo momento storico, a noi più che fare una distinzione tra Old e New School, ci piace molto più “classificare” ed identificarci in quella che è la vera scuola. E tutti gli ospiti presenti in “CuoRap” sanno di fare parte della “True School”. Detto questo, il concetto di True School non appartiene solo alla Campania. Dipende certamente da un fattore di appartenenza locale, ma è anche un’astrazione del tutto individuale, che caratterizza l’essere. Diciamo che, però, qui a Napoli c’è una lista lunghissima di mc bravi, vecchi e nuovi. La scena rap attuale partenopea è vivissima e c’è un perfetto intreccio tra le diverse generazioni. Commistione non sempre facile, ma che noi riusciamo a realizzare: perché facendo tesoro del passato, non ci limitiamo a quello, ma tendiamo sempre al futuro ed al nostro miglioramento.

Quindi, non preferite etichette come Old e New School, anche se il rap di oggi è accusato di diventare sempre più commerciale?

Ci piace pensare al panorama rap odierno come un grandissimo supermercato dove al suo interno puoi trovare varie marche nei diversi scaffali con i prodotti che più soddisfano ogni singolo ascoltatore. Ad esempio, puoi trovare una bottiglia di ottimo Lacryma Christi ed allo stesso tempo un Tavernello in tetra pak… Dobbiamo aggiungere altro?

Scoppiano a ridere sonoramente, lasciando questo quesito nella mente dei lettori. Nell’immaginario Market del Rap i Sangue Mostro si identificheranno con l’eccellente bottiglia di Lacryma Christi del Vesuvio? Noi, riconoscendo il primato dell’hip hop campano, diciamo di sì… A voi non resta che ascoltare CuoRap!

Eugenia Conti

FESTIVAL DI SANREMO 2014 / Domani tocca a Rocco Hunt: un appello per difendere la Terra dei Fuochi

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“La strage dei rifiuti, L’aumento dei tumori, Siamo la terra del sole, Non la terra dei fuochi!” Rocco Hunt, domani, canta a Sanremo, in un’edizione del tutto scarna e ingenerosa con il Sud. E canta un brano intriso sì di denuncia, ma anche di speranza e soprattutto di voglia di riscatto per la propria terra.

Un inno che difende un Sud, sputtanato gratuitamente anche sul palco di Sanremo, come accaduto ieri, durante la prima serata.

La musica, a Sanremo, però, domani cambia: il rapper salernitano Rocco Pagliarulo, detto Rocchino, vuole rompere proprio questi schemi. Nonostante i suoi soli 19 anni, venendo da una realtà difficile, ha già molto da insegnare, anche all’immarcescibile coppia Fazio-Littizzetto. La sua scelta di vita e di artista, infatti, è quella di usare la sua voce come megafono di tutte le voci del Sud, per cantare contro il sistema, raccontando la nostra verità “collettiva” attraverso il suo brano. “Nu juorno buono”, in gara nella categoria giovani di questa 54esima edizione del Festival.

È una delle otto nuove proposte di quest’anno. Assieme a lui sul palco saliranno: Diodato (Babilonia), Filippo Graziani (Le cose belle), The Niro (1969), Veronica De Simone (Nuvole che passano) e Zibba (Senza di te). Bianca (Saprai) e Vadim (La Normalità). Un’edizione, quella del 2014, cominciata in maniera movimentata, con un gesto disperato che dovrebbe far riflettere tutti.

Durante il monologo iniziale di Fazio, infatti, due operai del Consorzio del bacino di Napoli e Caserta sono riusciti a salire, attraverso uno stratagemma, sull’impalcatura dell’Ariston e da lì hanno minacciato di buttarsi giù, se il presentatore non avesse letto pubblicamente una loro lettera.

Fazio, costretto dalle circostanze, ha letto: “Siamo più di 800 operai, non riceviamo lo stipendio da mesi e così sarà per i prossimi mesi. In un anno sono già avvenuti tre suicidi”. 

Un gesto che ha fatto reagire subito Rocco Hunt: “Rapperó per due persone in più. Il mio rap è anche per loro e per tutti gli altri operai. Lo dedico a tutti i lavoratori del Consorzio del bacino di Napoli e Caserta. Li comprendo benissimo. Mio padre è il primo che lavora in una cooperativa e so cosa significa ricevere lo stipendio una volta ogni sei mesi. Con questa mia canzone voglio cercare un cambiamento concreto. Se lo meritano i precari, i disoccupati, tutta la mia gente, la mia terra. Arriverà ‘o juorno buono!”

E con questo messaggio pulito e fiducioso, espressione di un rap positivo, di denuncia e che rispecchia la vera essenza del genere, noi stasera facciamo il tifo per te, Rocchì. Sei l’unico che può difendere Napoli dallo sputtanamento continuo, da quel palco. Perché “questo posto non deve morire, La mia gente non deve partire, Il mio accento si deve sentire” non siano solo note sanremesi ma un modo di vivere Napoli e il nostro Sud.

Eugenia Conti

INTERVIEW WITH O IANK FUOSSERA / Il nuovo singolo "Terra nostra" per difenderla con l'impegno e la musica

o iank briganti

O’ Iank Fuossera, il Bianco dei Fuossera: questo il nome d’arte di Giovanni De Lisa. Il rapper partenopeo, storico componente della band Fuossera è un meridionalista vero, proveniente da Napoli Nord, quella difficile periferia, troppe volte, però fenomeno di spettacolarizzazione in negativo. Gianni e la sua band, dal 1998 (anno della loro formazione) hanno cercato di raccontare nel modo più autonomo possibile e originale le vicissitudini e le problematiche del loro quartiere.

O’ Iank, Peppe J one e Sir Fernandez, nei loro pezzi, hanno sempre offerto degli spaccati interessantissimi sulla società in cui sono nati e cresciuti: Piscinola. Padri dell’hip-hop campano, assieme agli amici fraterni Co’ Sang, con cui hanno collaborato numerosissime volte, i Fuossera hanno rimarcato nelle loro liriche la ferocia del sistema, sia criminale, che istituzionale. Ma specie nel cuore di Giovanni, negli ultimi anni, si è sviluppato sempre più l’animo brigante. E’ cominciata a crescere in lui la rabbia, la voglia di riscatto per la propria terra, l’odio verso un tricolore che rappresenta solo il simbolo della rovina del Sud. È aumentato a dismisura l’amore per la sua Capitale, Napoli e così il cantante ha deciso di intraprendere la carriera da solista. ‘O Iank denuncia tutto il suo dissenso verso lo Stato italiano in canzoni come “Biancoazzurro”, unici colori in cui si riconosce, ovvero quelli della sua città, regina del Regno delle Due Sicilie, oppure in “1.2.1.3”, numeri cifrati che compongono la sigla ACAB. Fino ad arrivare al suo ultimo brano, “Terra nostra”, un inno per il meridione, fuori da qualche giorni e che anticipa il suo prossimo disco in uscita nel 2014.

 

Gianni, quando hai deciso di scrivere “Terra Nostra” e qual è il messaggio che vuoi trasmettere con questo testo?

Sono solito seguire molto da vicino tutto quello che accade a Napoli ed al Sud da molti anni ormai. Ho troppe cose da dire riguardo alle condizioni ed agli abusi del nostro mezzogiorno. Infatti, in ogni mia canzone, non posso evitare di mettere almeno un accenno sulla nostra terra, anche se si tratta di un classico pezzo skills rap. Il testo di “Terra nostra” l’ho scritto nel febbraio del 2012. È stato uno sfogo, messo nero su bianco, in una notte in cui mandavano in tv il solito servizio su Scampia e lo spaccio di droga. Un servizio di sciacallaggio puro, dove veniva sputato veleno e venivano messe in vetrina le solite cose negative, che non portavano a niente. Allora ho sentito il bisogno di trasmettere tutta la mia rabbia e la mia tristezza nel vedere la mia terra stuprata ed offesa. Ma sottolineando anche che qui, oggi, stiamo prendendo coscienza di chi siamo. E’ una fase in cui sappiamo da dove veniamo ed a chi apparteniamo. Il messaggio è quello di andare alla radice per cercare di tagliarla se il frutto è marcio, di conoscere il perché dello stato di cose che ci circonda, per poter andare incontro al reale cambiamento del Sud.

E la musica che ruolo gioca per andare incontro a questo reale cambiamento?

La musica è molto importante perché è un mezzo che arriva rapidamente ai giovani. Quindi, se una gran parte di questi ultimi apprende il messaggio che si vuole trasmettere, poi lo metterà in pratica in maniera naturale. Prendo come esempio i Sud Sound System, che sono riusciti ad arrivare ad un pubblico vastissimo. Loro cantano: “La terra tua amala e difendila”, ne “Le radici ca tieni”. Questa canzone è stata recepita tantissimo dai giovani. E infatti in Salento c’è un’attaccamento radicato alla propria identità. I salentini hanno un grande senso di appartenenza alla propria terra. Logicamente se, invece, l’artista nei videoclip si mette i medaglioni d’oro, sfreccia a bordo di BMW, con donne ammiccanti, con le chiappe da fuori o se usa terminologie legate alla malavita, sta portando acqua al mulino della distruzione. Inevitabilmente, nel ragazzino attaccato a youtube, comincerà a nascere la convinzione che quel bel culetto ed il macchinone non potrà mai averli facendo un lavoro umile ed onesto. Quindi, comincerà a sdegnare le sue origini.

Le tue origini, invece, sono l’essenza della tua musica. Lasceresti mai la tua terra?

Come ben si può capire le mie origini influenzano totalmente la mia musica, sia nei testi che nella composizione. Non voglio andare via dal Sud, ma sicuramente non riconosco l’Italia come la mia nazione. Quando dicono che al Sud siamo africani è un grande complimento per me. Gli africani sono un popolo evoluto spiritualmente, questi italiani, invece, pensano solo a come devono vestire il loro cane/topo, mentre si fanno le foto da soli con lo smartphone. Cellulare che gli avrà regalato il fidanzato, che lavora in un’azienda, grazie alla raccomandazione dello zio deputato alla Camera.

Dunque, quanto è difficile essere un’artista?

È sicuramente difficile essere un’artista al Sud. In primis mancano le strutture ed oggi, per quanto concerne la musica, si è creato tutto un giro intorno a Milano, che segue una logica precisa. Logica secondo la quale, se un cantante non si butta nel calderone degli “accattoni” nella “città del business”, non va da nessuna parte. Io sono felice di fare le cose come voglio e non me ne frega un cazzo di partecipare alle serate mondane o alle sfilate di chi “lecca” di più dell’altro. Oggi ho quasi paura di mostrare stima verso un altro artista, perché ormai, anche nell’hip hop, tutti sanno che devono mostrarsi dei fratelloni fingendo un quasi amore per poi ottenere qualche seratina in cambio o qualche featuring a costo zero. Il mondo della musica odierno è autentico quanto una banconota da 7 euro, con cui poi “il rapper Made in Italy del momento”, pipperà cocaina.

Dunque, per quest’ipocrisia del mondo rap, hai dichiarato di voler lasciare la scena musicale dopo l’uscita del tuo prossimo ed ultimo album? Di cosa parlerà?

Si, come ho scritto nel mio comunicato ufficiale, abbandono la scena. Finiró il mio album da solista e nel frattempo faremo uscire con i Fuossera una serie di videoclip per celebrare i nostri 15 anni di carriera (già ne è uscito uno, intitolato “Mani in alto”). Il mio disco non sarà altro che un viaggio nella mia sensibilità. La sensibilità ti fa sentire le cose in maniera più chiara, è un amplificatore. Ho composto tutte le musiche con i Dualizm (Alessandro Estranea e Raffaele Marzano), che hanno avuto la pazienza di stare con me chiusi in studio per settimane intere, riuscendo a creare proprio quello che volevamo. In questo cd ci sarà tutto quello che sono e tutto quello che ho e mi rappresenta. Ci saranno l’identità, la mia città: Napoli, “capitale dell’orgoglio, nella repubblica dello scuorno”… Insomma, la nostra terra.

Eugenia Conti