Interview with Asian Dub Foundation for Gege Vibes (eng version)

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Last December we met in Conversano (Bari) the popular British group Asian Dub Foundation, in the beautiful building of Casa delle Arti, that was an abandoned place now recovered in order to promote cultural events. The band, known on the international music scene since 1993 and famous for their anti-racist message, especially in the 80s when in the UK there were strong anti-Asian tensions, gave us an unique live in this policultural center in Puglia. In fact, during the twentieth anniversary of the cult movie La Haine (Hate) by Mathieu Kassovitz, which got the 32th place in the standing compiled by Empire Magazine’s “Top 100 films in the history of Cinema”, the group has replayed live the sound –track of the movie, of which they were the authors, while the movie was projected behind them on a big screen. That was a great show. The crude and violent scenes running in sequence and having as protagonists the deprived children in the district of the French ghetto in perpetual war against the Police, depicted with great cruelty and authors of the assassination of one of these marginalized young people, have been mixed with the power of live music. Thanks to the talented musicians: the drummer Brian Brainfair, the guirarist Chandrasonic and the bassist Dr.Das. We interviewed the last two, respectively parts of the band since 1994 and 1993.

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Why did you choose the name Asian Dub Foundation 22 years ago?

22 years ago the first dj of the crew chose the name. Asian because almost all members of the band were from Asia, Dub because that was one of our favourite musical genres and Foundation because we wanted to be not only a musical band, but a real corporate. Asian Dub Foundation was the possibility to mix more ideas and to create artistic and militants synergies. It was also an opportunity for the talented guys of the most disadvantaged districts to find a place in which they could express themselves through music.

What about the antiracist message of your band?

At the time it was different from now. We were much younger, much more angry against the system. We always chose to treat political and socially engaged issues. Like the song “Fortress Europe”: in the lyrics we attacked the European Union about the immigration policies. Anti-racism has always been a constant in our band. In fact in the UK we promoted many lives in favor of minorities. Today, in the big cities like London, a lot of ethnic groups coexists peacefully and there really is a melting pot of people, but there is the phenomenon of globalization. It has negative and harmful sides such as the speculation, the lust for power, the absolute monopoly of the life of citizens by the political and economic institutions like banks. But it has also positive sides, like the progress in all the arts and in the evolution of sound too.

What about the evolution of your sound, that is now a crossover: from reggae to dub, through the punk and hardcore rap?

We love different kinds of music and in the years we have experienced various sounds to create our unique style that is not categorized into a default music model. Each artistic and sound influence by the new musicians of the band helped and gave his contribution to the evolution of the sound. Our music is basically reggae and dub combined sometimes to punk, to the militant rap or traditional Indian rhythm.

The use of the indian rhithmics is a musical influence coming from your asian origins. And you proposed a lot of concerts to support the rights of the Asian minority. Do you think that music could be the right way for the Revolution?

Music can definitely be a great channel to support revolutionary instances. However, we believe that nowadays in the West is not possible to use the music for these purposes. Currently this noble art is increasingly becoming a business and the message of songs has no more a great importance for the singers. In other parts of the planet where there is the real poverty music still has this function of awareness and consciousness, but in the West music loses every day a little more of its essence.

What are your future projects ? Greetings to Gege Vibes…

The future is uncertain and we can not know. (We laugh)

Surely we’ll play the soundtrack for another film, we’ll continue the tour and after the release of our last project More Signal More Noise (2015) we’ll come together in the recording studio as soon as possible.

Big up Gege Vibes from South Italy and thank you to the audience for the special atmosphere in Conversano!

Eugenia Conti

 

 

 

 

 

INTERVIEW TO LAMPA DREAD : "Con One Love Hi Powa Sound System dal 1991 ad oggi"

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I Sound System, oggi celebri in tutto il Mondo, nascono a metà degli anni 50 in Jamaica e precisamente nei ghetti di Kingston in cui più dj si univano tra loro e proponevano musica per strada con piatti, generatori ed impianti mostruosi dalle dimensioni enormi. Il primo a portare queste vibes in Italia ed in particolare a Roma è stato Lampa Dread col suo sound system One Love Hi Powa. Lampa, con origini salernitane ma da sempre residente a Roma, ha contribuito incommensurabilmente a portare la cultura ed i sounds giamaicani sul territorio nazionale. Selecta fin da giovanissimo e proprietario di un negozio di dischi nella Capitale, decide di trasferirsi per dodici anni proprio nell’Isola del Mar delle Antille e di continuare la sua carriera artistica nella patria dei generi che ha sempre amato. Anche oltre oceano apre uno store di vinili e con le sue selezioni comincia a partecipare alle più importanti competizioni guadagnandosi il rispetto di tutta la scena musicale fino a diventare oggi uno degli organizzatori del Rototom Sunspash, il Festival Reggae più grande d’Europa e annoverato tra i più importanti del pianeta. Gege Vibes l’ha intervistato per voi.

Ciao Lampa, partiamo dalla tua storia come scegli di fondare tantissimi anni fa il tuo sound system One Love Hi Powa?

One Love Hi Powa nasce nel 1991 dal sentimento di voler trasmettere le giuste vibes in Italia dove ancora non era arrivata, né si era diffusa la cultura giamaicana a 360 gradi. Già all’epoca proponevamo musica reggae, specialmente a Roma e viaggiando in molti posti come Londra o come la stessa Jamaica in cui fioccavano sempre più sound system abbiamo sentito l’esigenza di crearne uno nostro con cui poter girare il Mondo. Volevamo un impianto appropriato per poter suonare dopo che per tanto tempo avevamo approfittato di quelli dei locali oppure li avevamo posizionati nei vari centri sociali, quando cominciò il fenomeno delle occupazioni, prendendoli in affitto per un certo arco di tempo. A differenza di chi spingeva la discoteca nostrana, il nostro obiettivo era portare ovunque la situazione dancehall: una sorta di discoteca in stile giamaicano con determinate selezioni, sonorità e ritmiche. Grazie al sound system che poteva essere montato e rimontato, la dancehall poteva essere creata in ogni location interna o esterna che si preferisse. One Love Hi Powa cronologicamente può essere considerato tra i primi Sound System d’Italia.

Quanto la Jamaica ha contribuito a inspirare il tuo percorso artistico anche alla luce della tua lunghissima permanenza sull’isola?

Il trasferimento in Jamaica è stata un’esperienza collettiva e che ha inspirato tantissimo l’intero Sound System. Personalmente dopo aver aperto un negozio di vinili a Roma ho voluto riprendere la stessa attività lavorativa sull’Isola trattenendomi ben 12 anni: dal 1998 al 2010. Paradossalmente la mia permanenza è avvenuta in un periodo in cui il mercato del vinile era in forte crisi data l’espansione virale del web. C’è da dire però che nel reggae e nei suoi sottogeneri la cultura del vinile non si è persa, anzi ancora oggi tutti i più nostalgici ed appassionati li utilizzano. Chiaramente con l’avvento di internet e dei cd rom si è maggiormente sgretolata la vendita e il commercio dei vinili. Credo che questo sia il cambiamento naturale dovuto al corso del progresso e che comunque la rete abbia anche i suoi vantaggi e sia più facilmente accessibile a tutti. Prima se ti piacevano solo un paio di brani su un album eri costretto a comprarlo integralmente, oggi invece magari puoi acquistare singole tracce su iTunes. Tornando al periodo trascorso a Kingston mi sono da subito ambientato sul posto. Eravamo molto rispettati fin dall’inizio poiché i Sound System riscuotono di grande credibilità e di grande seguito tra tutti coloro che nutrono un po’ d’amore per la propria musica. Avevamo già contatti da anni con molti personaggi della scena prima di andare sul posto, quindi una volta arrivati l’accoglienza non poteva che essere calorosissima e ci sentivamo addirittura protetti. Eravamo al cento per cento, come si suol dire, dentro all’industria musicale. Anche la gente comune si è abituata a noi dopo aver selezionato a grossi festival musicali sull’isola ed ha di conseguenza apprezzato la nostra presenza sul territorio.

Quali gli artisti giamaicani con cui hai stretto i rapporti più forti?

La lista sarebbe veramente ricca, anzi oserei dire infinita. Sicuramente come non poter citare il colosso Sugar Minott, singer, producer e sound system operator venuto a mancare proprio nel 2010. Oppure il grande Buju Banton, di cui tra l’altro quest’anno ricorre il ventennale da quando lo portammo a Roma per la prima volta. Diciamo che servirebbe un’altra intervista solo per poter parlare dei ricordi legati ai rapporti più forti con i personaggi jamaicani.

Approfondiremo in futuro. Parliamo invece delle tue esperienza europee. Sei uno degli organizzatori storici del Rototom Sunsplash, diventato oggi il Festival reggae più importante d’Europa… 

Diciamo non solo in Europa, ma anche un po’ nel mondo. Il Rototom nasce nel 1994 come una piccola realtà alternativa in provincia di Pordenone ed era rivolto a vari generi musicali: dal reggae, al rock fino al funk. La più seguita era però la reggae music così si decise di trasformarlo in un Festival dedicato esclusivamente ad essa e si espanse sempre più a livello nazionale, fino a diventare un festival internazionale riconosciuto e amato da tutti. Quest’anno si terrà a Benicasim in Spagna come nelle scorse edizioni dal 13 al 20 agosto ed i primi nomi della lineup sono già usciti: tornerà Damian Marley e i Morgan Heritage, band storica e neo-vincitori stanotte del Grammy Awards con il loro “Strictly Roots”, decretato l’album reggae più bello del 2016. Ma le sorprese non sono finite: prossimamente sapremo gli altri ospiti di rilievo mondiale che saranno presenti sul palco del Rototom.

Cosa significa per Lampa Dread essere un selecta reggae e uno dei pionieri della cultura dei sound system nella tua Nazione? 

Voglio sempre continuare a portare in giro per l’Italia le nostre vibes, quelle targate One Love Hi Powa e a spingere la situazione dancehall a Roma, in cui suoniamo regolarmente con il nostro sound system ogni secondo sabato del mese. Per me essere un selecta di musica reggae significa innanzitutto avere consapevolezza, rimanere concentrati sulle radici ma proporre sempre musica ed artisti nuovi. Perché quando una musica è bella anche la sua evoluzione sarà altrettanto piacevole. Vedi la reggae music evoluta nella dancehall music, che ha in sé anche una sua identità. E poi non bisogna mai perdere di vista il messaggio dei brani. Anche nella stessa dancehall jamaicana c’è stata negli anni una carenza di contenuti, ma è anche comprensibile in un’isola come quella con delle difficoltà evidenti. A maggior ragione c’è bisogno di più presa di coscienza, in primis da parte degli stessi selezionatori.

Eugenia Conti

 

 

 

PROCESSO KARTEL / Possibilità di appello e di scarcerazione nel 2016 per il Gaza Emperor

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Il processo Kartel sembra avere nuovi freschi risvolti. Ma facciamo un breve riassunto per chi è all’oscuro della questione dal principio. Vybz Kartel è uno dei cantanti dancehall più amati della Jamaica tanto da essere rinominato dagli stessi fans “Boss World” o “Dancehall Hero” ed è famoso per aver diffuso con le sue note questa cultura in tutto il Mondo. Lo scorso 14 marzo 2014 dopo 65 giorni di processo Vybz Kartel, al secolo Adidja Palmer, viene arrestato per l’omicidio di Clive “Lizard” Williams con l’aggravante di conseguente occultamento di cadavere. In realtà le prove raccolte dopo l’istruttoria dalle autorità competenti sono esclusivamente sms scambiati tra lo stesso cantante e il suo braccio destro. Nei messaggi quest’ultimo invitava Vybz a recuperare ciò che li era stato sottratto o entrambi non avrebbero più chiuso occhio. Il defunto Lizard infatti si riteneva il responsabile della sparizione di alcune armi ubicate presso l’abitazione del Kartel, stesso luogo in cui da quanto risulta agli atti si sarebbe poi consumato l’assassinio. Lizard aveva invece scritto alla propria ragazza dicendo di essere nei guai e che il Teacha (ovvero Kartel) lo aspettava a casa facendo così intendere che per lui sarebbe stata la fine. Quello che ci chiediamo è se davvero ci sia stato un delitto per rivendicare la proprietà di due pistole? Possibile ma ancora non pienamente accertabile. Del cadavere neanche l’ombra, non è mai stato rinvenuto. Ritrovato invece soltanto un video durante le indagini in cui si intravedevano delle braccia e delle mani tatuate che maneggiavano coltelli e machete mentre delle voci sfocate in sottofondo ragionavano su come disfarsi di una potenziale salma. I legali del singer hanno però prontamente smontato quest’ultimo indizio dimostrando che si trattava di una manipolazione della polizia alla luce della perizia dell’esperto forense che a sua volta riteneva che il materiale audiovisivo fosse un falso. Nonostante ciò Vybz e i suoi tre complici individuati dalle forze dell’Ordine venivano condannati e trasportati in cella. L’intervento di più polizia veniva richiesto al fine di bloccare i numerosissimi fans disperati che immediatamente erano accorsi in caserma dopo la notizia per stare vicino al loro beniamino in manette. Per non lasciare i supporters nello sgomento Vybz ha pensato bene di continuare a produrre le sue dancehall tunes anche dal carcere uscendo addirittura nel 2015 con un nuovo album di inediti e non dal titolo “Viking”.

Veniamo alla sentenza. La sentenza di primo grado emessa lo condanna all’ergastolo da scontare con 35 anni di prigionia e di lavori forzati. Provvedimento così duro anche sulla base della valutazione dei suoi precedenti penali. Infatti già nel 2011 Vybz era stato imputato in un altro processo per l’omicidio del business-man jamaicano Barrington Burton per poi uscirne vittorioso dietro pagamento di cauzione. In teoria ad oggi interi lunghi anni di detenzione attendono Kartel prima che possa solamente tentare di ricorrere in appello dato i centinaia di casi arretrati che ci sono. Che il Kartel sia stato sempre dal carattere focoso non ci piove. Rimane storica la sua clash contro Mavado in cui dopo la competizione si arrivò allo scontro fisico vero e proprio e regalando però al pubblico appassionato una delle più belle battle artistiche di tutti i tempi. Ma a prescindere da ciò il caso rimane avvolto nel mistero più nero. Colpevole o innocente? Certo è che contro le qualità artistiche del Kartel nulla si può dire: siamo davanti a uno scrittore fenomenale e che ha un senso del ritmo come pochi. Sebbene la critica nazionale ed internazionale abbia potuto ritenere le canzoni dai testi troppo osceni o senza un giusto messaggio Vybz rappresenta con la sua musica la voce del ghetto per antonomasia. Lui dal fango ci viene davvero e di cosa dovrebbe parlare se non di sesso, ingiustizie e soldi? Questi ultimi quasi un’ossessione per lui nei suoi brani perché le fasce ricche fin da piccolo lo avevano emarginato insieme ai suoi simili. La contestazione sociale si presenta forte verso dopo verso. Un po’ come era accaduto anni prima per quei rapper americani che avevano creato il filone “gangsta-rap” in cui si parlava del disagio dei ghettizzati in chiave criminale perché la realtà triste e grigia era l’unica che vivevano day by day e che potevano raccontare. Ma per il “Gaza Emperor”, altro appellativo datogli dai followers, ci potrebbero essere molto prossimamente delle novità. La difesa infatti si sta muovendo affinché il processo possa essere riaperto e si possa procedere col secondo grado del giudizio. Il team di avvocati è infatti pronto a sollevare delle eccezioni in appello che potrebbero rimettere in libertà definitivamente il proprio cliente. Uno dei giurati ovvero Mr.Caine dovrebbe essere accusato di corruzione per aver fatto si che gli altri giurati gli restituissero e non esibissero il verdetto di non colpevolezza nei confronti di Kartel. Caine ha negato il tutto aggiungendo addirittura che il resto della giuria dopo aver pronunciato il verdetto di colpevolezza voleva addirittura organizzare un party. Ma questo non è l’unico punto su cui la difesa cercherà di farsi valere. All’interno della compagine popolare giudicante in primo grado ci sono addirittura ben due violazioni di legge del regolamento della Giuria della Giamaica. Infatti un giurato sul caso si sostiene che lavori con la Forza di Difesa Giamaica, posizione incompatibile col ruolo stesso di giurato, mentre un’altra sarebbe la moglie di un importante ufficiale di polizia e quindi impossibilitata a far parte della giuria. Il pubblico ministero poi ha solo prove circostanziali e non schiaccianti. Si vocifera che Vybz Kartel ha una grande possibilità di vincere il suo appello se non per l’immediata libertà, almeno per la possibilità di ottenere un nuovo processo e di rendere nullo questo pendente. Staremo a vedere come si evolverà il procedimento giudiziario e quale sorte toccherà al Dancehall Hero.

Dancehall a mi everything !

Eugenia Conti

NANDU POPU PROF PER UN GIORNO / Incontro con gli studenti del Liceo di Cisternino

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Essere un cantante dovrebbe significare trasmettere messaggi forti alla gente attraverso quel canale privilegiato che è appunto la musica. Nandu Popu dei Sud Sound System ne è il modello. Da sempre, infatti, canta l’amore per la sua terra, insieme a Don Rico e Terron Fabio. Stesso amore che l’ha portato a cimentarsi nelle vesti di scrittore ed a scrivere il suo primo libro, “Salento fuoco e fumo”. Per lui, affrontare le problematiche della sua terra è una vera e propria mission di vita.

Così, dopo l’uscita del libro “Salento fuoco e fumo”, avvenuta lo scorso anno, Popu ha deciso di presentarlo anche nelle scuole per divulgare le verità in esso contenute, spesso sconosciute agli studenti: inquinamento, ecomafie, emigrazione, perché per i Sud Sound System sono proprio loro, i giovani l’unica possibilità di rivoluzione.  È questo il primo punto illustrato da Nandu Popu, (introdotto simpaticamente dal suo speciale fan numero 1 Francesco Di Carolo, per tutti Caymano, nella conferenza tenutasi ieri mattina a Cisternino (BR), presso il Liceo Polivalente “Don Quirico Punzi”.

Nandu si rivolge ai ragazzi dicendo di “uccidere”, freudianamente parlando, i genitori. È necessario scardinare mentalità e luoghi comuni, scoprire le verità che ci hanno portato a questo stato di cose, fare meglio delle precedenti generazioni.

Due sono le storie che racconta ai ragazzi, tutti attentissimi e interessati. La prima è quella del salentino Mattia, figlio di ricchi borghesotti, con un papà da sempre in politica in un partito del centro sinistra. Questo ragazzo, dopo aver scoperto tutte le irregolarità commesse dal padre ed inorridito da quel benessere economico familiare ottenuto attraverso il furto di denaro pubblico, decide di ripartire da zero. Si trasferisce in Svizzera e si impiega come lavapiatti, rinunciando così ad una vita di agi assicurati, ma felice della sua integrità morale.

La seconda storia é, invece, quella del figlio di un proletario di una fabbrica pugliese. Il padre, in punto di morte, a causa di un cancro epatico, toccato a quasi tutti gli operai di quello stesso stabilimento, dice al figlio che, come eredità, intende lasciargli il suo posto di lavoro. Quest’ultimo rifiuta sconvolto e decide di emigrare, lontano dagli affetti, dal resto della famiglia, ma anche lontano da una sorte certa: la stessa del padre.

“Oggi qualcosa sta cambiando. C’è voglia di riscatto, di ribellione, desiderio di non essere schiavi dello stesso padrone – afferma Nandu – Bisogna unire le forze per riprenderci la nostra terra.”

Da qui il discorso si sposta sulla storia. Il Sud da 150 anni a questa parte è una colonia del Nord e come se non bastasse è stata inculcata nelle menti di molti meridionali la falsa teoria della superiorità dei settentrionali. Una bugia ripetuta per un secolo e mezzo, a cui in molti hanno creduto.

L’invito di Nandu è di  ripensare alle nostre origini, alle “radici ca tenimu”.

Il ragionamento cade su Taranto, “già grande colonia della Magna Grecia, terra di fiorente cultura, ricca di storia. Ed oggi? Ne parliamo solo per l’Ilva, per l’inquinamento. L’antico splendore della città è stato tramutato in orrore. Taranto, oggi, è lo scenario di un genocidio. Si conta un malato di tumore ogni 18 abitanti, il 65% delle donne è infertile e c’è un tasso di mortalità infantile altissima”.

In aula è commozione generale. Ma c’è tempo per un ultimo racconto, quello sull’associazione tarantina “Ammazza che piazza”, che, tra le sue iniziative, organizza flash-mob. I ragazzi, giovanissimi, armati di zappe e sementi, piantano fiori per la città, con lo scopo di sconfiggere il brutto attraverso il bello. 

Infine un elenco delle sue battaglie, con i No al Carbone di Brindisi, con i No Tap e appena un riferimento all’ambito musicale, ma analizzato sempre in una chiave storica.

I Sud Sound System nascono tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni’90: “La musica – spiega Nandu – in quel momento era per alcuni anche una via di fuga dal boom dell’eroina. All’epoca, quella droga era un vero fenomeno di massa, uccideva ripetutamente ed era difficile riuscire a sottarsene. Noi sentivamo l’esigenza di sperimentare qualcosa di nuovo, di creare un genere diverso. Così avviene l’incontro tra la jamaican reggae music e la Taranta”. 

Ma quale è la vera origine della Taranta? Nandu ci permette di scoprirlo. “Le tarantate erano donne salentine che, nel ‘600, andavano a lavorare in campagna. Li nei campi, erano, spesso, costrette a subire le violenze sessuali del loro padrone, vittime di una società in cui costituivano l’anello debole della catena, buone solo a riprodursi. Quindi, venivano stuprate brutalmente e non potevano neanche gridare la loro disperazione ad alcuno. Affogate totalmente e silenziosamente nel proprio dolore, avevano un’unica valvola di sfogo: la danza. E così nasce quella ballata convulsiva e tormentata”.

Una mattinata diversa per i ragazzi del liceo di Cisternino che si conclude con un augurio di Nandu per tutti gli alunni: “Siete voi la speranza per il futuro. Informatevi, leggete la cronaca, denunciate. Cercate di non abbandonare la vostra terra, ma di trovare il modo per sfruttarla e valorizzarla. Risvegliate le coscienze!”

Eugenia Conti

ARTISTA PASIONARIO / A Nandu Popu il premio annuale del Sing per l'impegno sul territorio

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L’annuale premio pugliese “Arte, sport e territorio”, assegnato dall’oratorio S.I.N.G., durante la tradizionale festa in onore di San Giovanni Bosco, per questo 2014 spetterà ad una delle voci e personalità più belle del territorio, Nandu Popu dei Sud Sound System.

Fernando Blasi sarà premiato il prossimo 31 gennaio ad Oria (BR), oltre che, per il talento vocale ed il successo musicale, soprattutto per la sensibilità e l’impegno mostrati nei confronti della sua terra, il Salento. Terra che difende con le unghie e con i denti, senza perdere mai occasione di denunciarne i soprusi che subisce, sia attraverso i testi delle canzoni, sia durante i live, che nella sua prima esperienza da scrittore.

“Salento fuoco e fumo”, infatti, è il libro in cui Nandu racconta e svela ai meno informati amare verità sulle ecomafie, sugli imbrogli legati allo smaltimento dei rifiuti in Salento, senza far mancare le dettagliate descrizioni dei luoghi e delle tradizioni, raccontate da lui con amore, in sella ad una bicicletta.

Nandu Popu, col suo contributo, ha il grande merito di aver sensibilizzato una gran fascia di persone sulle problematiche ambientali di oggi, sulla drammatica questione dell’inquinamento, oscura ai più, e di aver approfondito tematiche non sempre conosciute. A differenza di tanti altri, ha dimostrato di essere un’artista che scende in campo in prima persona, che non sa restare in silenzio di fronte alle ingiustizie e che incita tutti a lottare come lui.

Tanto è che quest’anno ha condiviso le battaglie dei “No al carbone”di Brindisi, di “Greenpeace” e si è fatto portavoce di ogni istanza che tutelasse il Sud.

Roberto Schifone, presidente dell’oratorio e responsabile regionale del Movimento per l’infanzia, afferma la sua soddisfazione nel premiare proprio questo cantante, definendolo un grande ambasciatore della regione Puglia. Nandu il Sud lo ama tutto ed un riconoscimento che fosse un connubio tra arte ed azione sul territorio non poteva non andare a lui.

Eugenia Conti