ARTISTA PASIONARIO / A Nandu Popu il premio annuale del Sing per l'impegno sul territorio

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L’annuale premio pugliese “Arte, sport e territorio”, assegnato dall’oratorio S.I.N.G., durante la tradizionale festa in onore di San Giovanni Bosco, per questo 2014 spetterà ad una delle voci e personalità più belle del territorio, Nandu Popu dei Sud Sound System.

Fernando Blasi sarà premiato il prossimo 31 gennaio ad Oria (BR), oltre che, per il talento vocale ed il successo musicale, soprattutto per la sensibilità e l’impegno mostrati nei confronti della sua terra, il Salento. Terra che difende con le unghie e con i denti, senza perdere mai occasione di denunciarne i soprusi che subisce, sia attraverso i testi delle canzoni, sia durante i live, che nella sua prima esperienza da scrittore.

“Salento fuoco e fumo”, infatti, è il libro in cui Nandu racconta e svela ai meno informati amare verità sulle ecomafie, sugli imbrogli legati allo smaltimento dei rifiuti in Salento, senza far mancare le dettagliate descrizioni dei luoghi e delle tradizioni, raccontate da lui con amore, in sella ad una bicicletta.

Nandu Popu, col suo contributo, ha il grande merito di aver sensibilizzato una gran fascia di persone sulle problematiche ambientali di oggi, sulla drammatica questione dell’inquinamento, oscura ai più, e di aver approfondito tematiche non sempre conosciute. A differenza di tanti altri, ha dimostrato di essere un’artista che scende in campo in prima persona, che non sa restare in silenzio di fronte alle ingiustizie e che incita tutti a lottare come lui.

Tanto è che quest’anno ha condiviso le battaglie dei “No al carbone”di Brindisi, di “Greenpeace” e si è fatto portavoce di ogni istanza che tutelasse il Sud.

Roberto Schifone, presidente dell’oratorio e responsabile regionale del Movimento per l’infanzia, afferma la sua soddisfazione nel premiare proprio questo cantante, definendolo un grande ambasciatore della regione Puglia. Nandu il Sud lo ama tutto ed un riconoscimento che fosse un connubio tra arte ed azione sul territorio non poteva non andare a lui.

Eugenia Conti

INTERVIEW WITH LA MASCHERA / L'emergente blues band napoletana spopola con la sua "Pullecenella"

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I vicoli sono quelli del centro storico di Napoli, Pignasecca, Montesanto, Spaccanapoli, dove ogni pietra racconta di arte e poesia, folklore e storia, miseria e nobiltà. E’ qui che la band emergente dai connotati blues “La maschera” ha ambientato la clip di “Pullecenella“, il loro primo singolo, che ormai sta spopolando ovunque, dalle radio al web e persino dagli schermi televisivi delle metro, della circumvesuviana e della circumflegrea, che passano a loop le immagini girato dal regista Enzo Caiazzo, che su youtube hanno superato le 27mila visualizzazioni.

I Pulcinella’s boysRoberto Colella, voce, chitarrista e tastierista,Vincenzo Capasso, trombettista, Eliano Del Peschio, bassista, Marco Salvatore, batterista, Roberto Guardi, percussionista ed Alessandro Morlando, chitarrista solista – oltre a riscuotere consensi nei molteplici live in cui si stanno esibendo, a marzo – pur senza il sostegno di un produttore – lanceranno il loro primo album. Ne parliamo con Roberto, voce e anima della band. “La maschera nasce per un incontro casuale tra me e Vincenzo, il trombettista. Da subito abbiamo notato una certa affinità tra i suoni della sua tromba e quelli della mia voce e chitarra. Così, abbiamo messo in piedi questo progetto e formato la band attuale”.

Perché “La Maschera”?

Ci siamo ispirati alla maschera per quella sorta di dualismo che nasconde, ma anche perché attraverso i testi delle nostre canzoni vogliamo smascherare la realtà, valorizzando però il legame con una certa tradizione teatrale napoletana, dove il ruolo della maschera è pregnante. Non a caso, il primo singolo che abbiamo lanciato è “Pullecenella”, ha per protagonista un personaggio assolutamente teatrale e che richiama alle tradizioni, alle origini, che noi però proponiamo in chiave moderna.

Pulcinella ha un forte legame con l’identità partenopea. Per voi cosa rappresenta?

Pulcinella è la maschera di Napoli, profondamente legata alle sue radici. Ma non è solo un personaggio divertente: ha anche connotati negativi e vizi, tra cui quello dell’alcool. Allo stesso tempo, però, rappresenta la spensieratezza e la voglia di fare tipica del napoletano. Il Pulcinella della nostra canzone, poi, punta il dito sulla mancanza di comunicazione che c’è oggi tra i napoletani e, forse, tra le persone in generale. Nel brano, Pulcinella canta e balla lungo la strada per allietare i pensieri dei passanti e per alleviargli la giornata: eppure nessuno gli dà ascolto. “Io me ne vac’ pa strada mia, tant’ cchiù nera ra mezzanotte nun può venì” è la sua risposta. Insomma:  non lotta, non cerca di affermarsi, preferisce andarsene. Per noi è la metafora dell’annullamento dell’azione collettiva, della mancanza di ribellione e dell’interessarsi soltanto all’individualità. È un’allegoria della società moderna, riferita sia a Napoli, che al meridione. L’ abbiamo resa, però, in una chiave più leggera perché spesso la leggerezza può dare un trasporto maggiore al messaggio. Pulcinella è insomma, ieri come oggi, metafora di Napoli, città dalle mille contraddizioni che, nonostante le incessanti angherie, risulta impossibile da odiare: città che prende continue batoste, ma che si rialza sempre, città in cui, purtroppo, a causa dello sputtanamento mediatico, si parla solo delle cose brutte e le cose belle finiscono nel dimenticatoio.

“Pulecenella” è estratto in anteprima dal vostro primo disco in uscita a marzo. 

Sì,  a marzo uscirà l’album “‘O vicolo ‘e l’ alleria”, un titolo tratto proprio dal testo dalla canzone Pulecenella, nella parte in cui dico:”Vien’ cu’mme, t port int’ o vicolo ‘e l’alleria”. La speranza è che tutti i napoletani possano trovare questo vicolo, posto astratto in cui regna la felicità, il benessere, “l’alleria”. Ma il nostro sarà un disco anche di denuncia sociale: ad esempio ne “Il ballo del potere”, ci chiediamo come sia possibile vivere la vita che vogliamo veramente visto che siamo già dei burattini nelle mani del potere. Ci sarà spazio ovviamente per brani più leggeri, ma prevalentemente ci saranno più pezzi impegnati, ma apolitici ed apartitici. Ma soprattutto antisistemici: il Sistema lo combattiamo e non facciamo parte di nessuno schieramento.

Siete almeno dell’idea che l’ unico schieramento possibile sia quello a favore del Sud per un suo futuro riscatto?

Assolutamente si. Già con la nostra musica ci schieriamo a favore di un Sud che va valorizzato. La musica può risvegliare le coscienze delle persone e può creare quello svago che fa anche riflettere. Quindi il  connubio è perfetto. Ma naturalmente la sola arte non puó bastare per risollevare le sorti del mezzogiorno anche se è un ottimo veicolo di consapevolezza. Di certo, per poter guardare al futuro, bisogna ricordarsi sempre del passato e, soprattutto, di tutte le cose negative che noi meridionali abbiamo subìto, per evitare che ci riaccadano un domani.

Nel nuovo cd c’è anche un brano per la terra dei fuochi, da cui provenite?

Noi veniamo dalla periferia Nord-est di Napoli, da Chiaiano, Mugnano e, perciò siamo in piena terra dei fuochi. Il brano si chiama “Gent’e nisciun” e lo abbiamo scritto con la compagnia teatrale di Raffaele Bruno, che si occupa della parte recitata. Per noi la periferia è un valore aggiunto alla città ma trattare il tema dell’inquinamento delle nostre zone era il minimo: amiamo le nostre origini, la nostra terra, dovevamo farlo.

Le vostre origini influenzano a che punto il vostro lavoro artistico?

Tantissimo. Nel momento in cui scrivo una canzone sento forte il legame con quello che mi sta intorno. Credo anzi che le nostre canzoni non potrebbero parlare di altro. Scrivo prediligendo il napoletano, che peraltro ha una musicalità ineguagliabile. Nel cd i brani in italiano saranno giusto un paio. Una scelta, quella della lingua napoletana, che rimarca ancora di più il nostro senso di appartenenza. Prima di iniziare questo progetto avevo pensato alla possibilità di andare fuori: invece non accadrà, ho capito che voglio restare a Napoli, non voglio andarmene mai, perché andar via è una mossa da vigliacchi, specie se sei un artista.  Sì, ho capito che restare è necessario: se senti di aver qualcosa da dire e senti che le persone possono capire il tuo linguaggio, restare è un dovere, come è un dovere lottare.

Eugenia Conti

INTERVIEW WITH A67 / Il leader Daniele Sanzone : "Raccontiamo Scampia in chiave Naples Power"

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Parli con Daniele Sanzone, leader e voce degli ‘A67, e non può che venirti in mente Scampia. La Scampia quella viva, con voglia di riscattarsi, di mostrare le cose positive di un territorio che è un simbolo dipinto troppo spesso solo come negativo. Daniele e il suo gruppo (Enzo  Cangiano alle chitarre, Gianluca Ciccarelli al basso e Luciano Esposito alla batteria) sono la prova vivente che non è così.  “Nasciamo nel 2004 con la volontà di parlare delle problematiche della nostra periferia, con una forte identificazione territoriale della nostra musica – ci spiega subito – La musica per noi rappresenta uno strumento privilegiato per diffondere valori, messaggi, verità”. Ed infatti Daniele, seppur convinto unitarista, come tiene a precisare, converge con musica e azioni su tante battaglie identitarie e meridionaliste. Per averne conferma basta ascoltare i testi dal primo disco del gruppo, “A camorra song io”  fino all’album piu’ recente, il cui nome è un programma di per sè,  “Naples Power”.

Daniele il nuovo lavoro in uscita nel 2014 perseguirà questo filone o c’è qualche cambiamento in programma?

Tra i progetti prossimi, anzitutto, c’è la nostra partecipazione al concerto di Pino Daniele il 28, 29 e 30 dicembre al Palapartenope. Un evento che per noi rappresenta la classica ciliegina sulla torta: siamo onorati di essere sul palco con un grande della musica napoletana. Per il resto questo è stato un anno di pausa proprio perché stiamo lavorando al disco nuovo. Il cambiamento, nel nuovo album, sarà importante: cambieremo il sound, anzitutto, e poi io, per la prima volta, canterò anche in italiano. Inoltre, come già accaduto in “Naples Power”, il nuovo album vedrà la partecipazione di tanti ospiti imprtanti. E infine credo che il nostro nuovo album sarà un disco rivoluzionario e molto politico. Ci sarà anche un pezzo che parla della resistenza del Sud Italia che, già dal titolo, sarà un pezzo fortemente provocatorio. Insomma, sarà un lavoro forte e, ovviamenete, identitario, come del resto sono anche gli altri nostri album.

A livello identitario “Naples Power” è stato emblematico.

Quando abbiamo inciso Naples Power era una fase storico-politica in cui sembrava che tutto fosse già stato detto: in quel momento pensavamo che fosse importante tornare ad affondare il sound nelle nostre radici per ridare forma ad un futuro. Eravamo convinti che solo ricordando le nostre origini avremmo potuto fare un passo avanti. Così in quel disco abbiamo omaggiato quel movimento musicale che era il Neapolitan Power, riproponendo le canzoni di quell’epoca col supporto degli artisti che le avevano cantate in passato. Inoltre abbiamo creato un binomio musica-letteratura, affidando ad ogni artista che ha collaborato a quel disco, uno scrittore. L’idea era di focalizzzare l’attenzione sulla cultura del Sud, per fare in modo che la si rivalutasse. Questo anche per spezzare il binomio Napoli-cronaca nera, che poi è il risultato di anni ed anni di pornografia mediatica nei confronti della nostra città. In poche parole, in un momento in cui la musica napoletana sembrava in standby, quello, per gli ‘A67  era un modo per ricordare che la nostra musica, la nostra letteratura, la nostra vivacità artistica, erano ancora in vita. Era una risposta, in quella fase storica, a chi pensava che Napoli non ci fosse. Una risposta per dimostrare che la musica napoletana era ancora vivissima e da sempre e per sempre racconta le proprie storie. E noi, come  artisti napoletani, ieri come oggi, non potevamo fare a meno di parlare della nostra città, con la quale abbiamo un rapporto viscerale, imprescindibile. Per noi, per gli ‘A67, è stato un legame sempre fortissimo: basta ascoltare il nostro primo album,“A camorra song io”, per capirlo.

A proposito del vostro primo album, “A camorra song io”: quel lavoro nasceva anche per raccontare del vostro quartiere d’origine, Scampia, da sempre fenomeno di spettacolarizzazione e speculazione. Pensi ci sia una rinascita negli ultimi tempi?

“A camorra song io” era un album che racchiudeva un po’ tutte le problematiche della nostra città, e della periferia in particolare. Ma a distanza di diversi anni, oggi posso dirvi che a Scampia sono tanti i cambiamenti ai quali abbiamo assistito. In questi giorni, ad esempio, sto lavorando a un’inchiesta per Repubblica proprio su Scampia in cui lo racconterò. In una delle nostre prime canzoni, ad esempio, cantavo che a “ogni 50 mt ci sta ‘na piazza di spaccio”. Ecco, oggi questo per fortuna non c’è più. Ovviamente questo non vuol dire certo che lo spaccio sia stato debellato, ma indubbiamente le modalità sono cambiate e, almeno, la spettacolarizzazione dello spaccio non c’è più.  Non nego che i problemi ci siano ancora, naturalmente: la camorra certo non è stata debellata.  Però è evidente che Scampia sta cambiando. Una cosa, questa, questo cambiamento, che abbiamo cantato attraverso la popular music, il più grande mezzo di comunicazione esistente. Un mezzo che arriva dritto e diretto alle nuove generazioni, ai giovani. Perché noi artisti, attraverso la musica, abbiamo un potere gigantesco: personalmente sento l’enorme responsabilità di quello che dico attraverso le nostre canzoni. Del resto è questo il punto di partenza degli ‘A67: nasciamo per questo, per ricordare e raccontare una periferia da sempre dimenticata o considerata solo durante le campagne elettorali o, peggio ancora, per i morti ammazzati. Un messaggio, il nostro, che poi si è fatto universale: crescendo come gruppo, infatti, ci siamo resi conto che la nostra periferia non è poi così distante dallo Zen di Palermo o dalle favelas del Brasile, dove abbiamo anche suonato. Insomma: le periferie si assomigliano sempre di più per condizioni e condizionamenti. Ma tornando a Scampia, a differenza di quando abbiamo cominciato, oggi riscontriamo una grande risposta dal basso. Lo ha notato, del resto, anche Pino Aprile, nel suo ultimo libro, che parla anche di noi.

Serve ancora, oggi, essere ideologizzati o credi che l’unica ideologia che bisogna perseguire sia quella del riscatto di Napoli e del Sud in generale?

Alle ideologie io credo ancora, credo che siano fondamentali. Ad esempio non condivido il modo di fare del Movimento 5 stelle, dove all’interno trovi di tutto, dall’ex militante di estrema destra all’ex iscritto del Pd. Personalmente penso che Grillo sia un paraculo: va a Bologna e cita Berlinguer, va a Roma e dialoga con quelli di Casapound. E questo sarebbe essere non ideologizzato? Io ho sempre avuto una mia visione, sono sempre stato legato alla sinistra extraparlamentare. Anche se penso che, più che a un’ideologia, bisogna essere legati a una struttura politica. Penso sia essenziale, insomma, avere un background, un bagaglio culturale dal quale partire: altrimenti siamo tutto e niente. Intervistando Pino Aprile per “Brain Food”, la rubrica che curo su Fanpage dove intervisto, davanti a un buon piatto, scrittori e artisti, gli ho chiesto se ci siano oggi le basi per creare un sano partito meridionalista. Beh, lui mi ha risposto che è un processo già in atto, che si sta formando non intorno ad un’ideologia ma intorno ai problemi reali. E’ un punto di vista che ritengo interessante…

E tu ti senti un meridionalista?

Si, anche se sono a favore dell’Unità d’Italia, nonostante sia convinto che è stata fatta nel peggiore dei modi. Dopo 150 anni il Sud annega in problemi gravissimi e la Questione meridionale continua ad essere irrisolta. E’ innegabile che il Sud, insomma, sia tutt’oggi una colonia del Nord, come del resto diceva Gramsci 50 anni fa. Come è innegabile che il sistema capitalistico italiano si sia nutrito proprio dello sfruttamento del Sud. Uno sfruttamento oggi più vivo che mai. Ecco, per me essere meridionalista significa abbattere queste disuguaglianze, rivendicando i nostri diritti. Detto questo, però, tengo a precisare che l’etichetta meridionalista non mi piace se presuppone un Sud contro il Nord: ritengo che questa dialettica debba essere superata, anche perché non mi piace che si pensi ai meridionalisti come a una Lega del Sud. Ovviamente voglio e credo al riscatto del Sud, come del resto dimostrano i testi delle mie canzoni. Insomma, per rispondere alla tua domanda: mi sento meridionalista senza essere separatista. Mi baso sui fatti, senza vessilli borbonici, monarchici e senza nostalgismi. Vorrei che si arrivasse alla risoluzione dei problemi reali. La terra dei fuochi ad esempio: c’è una situazione drammatica e la paura più grande è che la bonifica possa essere fatta delle stesse istituzioni che ci hanno avvelenato. Come meridionalisti bisogna stare all’erta, denunciando senza paure ogni abuso e sopruso.

Daniele oggi che vivi più a Roma che a Scampia senti le stesse emozioni per la tua terra?

Forse di più. Mi rendo conto che il distacco dalla mia città me la fa poi vedere con occhi diversi. Continuo a rinnamorarmi ogni volta che ci torno. Il mio sogno? E’ che Napoli possa far parlare di sé solo per la sua infinita bellezza, che tutto il male sia annientato, che la camorra sia distrutta, che le disuguaglianze tra Nord e Sud svaniscano.

Beh, il tuo sogno è anche il nostro. Auguri!

Eugenia Conti

INTERVIEW WITH SUD SOUND SYSTEM / "Ragazzi nun ve scerrate mai delle vostre radici"

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“Se nu te scierri mai delle radici ca tieni, rispetti pure quiddre delli paisi lontani”. (Se non dimentichi mai le tue radici, rispetti anche quelle dei paesi lontani).

A distanza di più di dieci anni dall’incisione di questo brano i Sud Sound System dominano ancora la scena musicale nazionale ed internazionale, con venti anni di carriera alle spalle, otto album incisi, molteplici raccolte e live, migliaia di copie vendute. Considerati la migliore band reggae in Italia, i Sud Sound System sono i pionieri del raggamuffin, genere musicale che mescola i ritmi reggae jamaicani alle ballate salentine di pizzica e taranta. Identità, senso di appartenenza ed attaccamento alle proprie origini sono il fulcro, il cuore pulsante della loro musica. “Noi abbiamo il Sud nel nome del nostro gruppo, cosa altro c’è da aggiungere?” esordisce Nandu Popu, voce del gruppo, insieme a Don Rico e Terron Fabio. I tre artisti cantano, rigorosamente in dialetto salentino, l’amore per la propria terra, con lo scopo di insegnare a tutti, attraverso i testi dei brani, a difenderla, a non piegare mai la testa di fronte ai soprusi e a denunciare chi la deturpa. Li abbiamo incontrati prima al Pummarò festival, a Sant’Antonio Abate e successivamente la nostra conversazione è continuata nel loro “habitat naturale”: lo studio di registrazione, sito in Salento, la Jamaica del Sud Italia.

Avete celebrato il vostro ventesimo anniversario. Ma come si prospetta il presente dei Sud Sound System e l’imminente futuro?

Si, venti anni insieme. Per l’ occasione e’ uscita anche una compilation con i “best of” degli ultimi dieci anni, che presenta due brani inediti ” Vola via” e “Mai come ora” (featuring Rubens), più il remix del nostro brano più celebre “Le radici ca tieni” insieme alla band jamaicana T.O.K. Siamo reduci dal tour estivo, appena terminato, accompagnati dalla Bag a Riddim Band. Un tour che ci ha visto esibirci in tutta Italia ed anche all’estero, dalla Spagna, alla Francia. Abbiamo portato un po’ di Salento in ogni tappa. Ora, dopo questa lunga tournée, abbiamo in porto un nuovo disco, a cui stiamo già lavorando costantemente, dove l’identità sarà ancora una volta il fulcro intorno al quale girerà la nostra musica.

“Gli ulivi di queste brulle e arse pianure posano come divi esibizionisti che ostentano le proprie forme sicuri di essere unici”. E’ un frammento estratto dal libro di Nandu Popu “Salento, fuoco e fumo”(Laterza, 2012). Nando come mai hai pensato di scrivere questo libro e quanto sei legato a quegli alberi?

Salento, fuoco e fumo” é il mio primo libro, un viaggio in mountain bike tra le vie del Salento. Oltre alle precise descrizioni dei posti, il libro è ricco di messaggi. Ad esempio, il racconto su uno sporco affare riguardo ai rifiuti tossici. Quindi, la denuncia all’ abusivismo ed alle ecomafie. Altri argomenti presenti sono la famiglia, l’emigrazione, la questione meridionale. L’ esperienza da scrittore è stata bella e, sicuramente, nuova. Essendo artisti, tutti pensano che sia facile per noi scrivere, in quanto già lo facciamo con i testi delle canzoni. Dal mio punto di vista, posso dire che scrivere un libro è un approccio completamente diverso, ma molto stimolante. La scrittura è una valvola di sfogo che ti permette di buttare giù, nero su bianco, tutto quello che hai dentro. Infatti, non lascerò la penna. Ho cominciato già a scrivere il mio secondo libro, che parlerà di piccoli bulli e Sacra Corona Unita”.

La denuncia della realtà sociale e politica che ci circonda sono temi predominanti nelle vostre canzoni. Esempi pregnanti sono testi come “Casa mia” e ” Le radici ca tieni”. La musica può essere veicolo di sensibilizzazione delle masse e di consapevolezza. Qual è il messaggio rivolto ai vostri giovani supporter?

La storia purtroppo ha insegnato ai figli del Sud che sono inferiori ed ai figli del Nord che sono superiori. Purtroppo, molta gente ci ha creduto. Ma non è vero, siamo come tutti gli altri. Non dico neanche che siamo migliori, ma siamo tutti uguali. Però quest’ uguaglianza viene negata, innanzitutto dalle leggi e dai politici, che hanno trasformato il Sud in una pattumiera. Parlo in primis per i ragazzi della terra dei fuochi, di Taranto: ma come si fa a vivere in quelle terre? Come si fa? Qui non c’è soltanto la mano della mafia, ma sono anche le fabbriche del Nord che ci hanno portato i veleni. Tutto il Sud e’ inquinato. Alle generazioni future sento di dire due cose: per prima cosa riprendetevi la terra vostra e seconda cosa, uniamola insieme!

Eugenia Conti