INTERVIEW WITH DOPE ONE / "Vi racconto le mie esperienze di periferia in attesa del mio primo disco da solista"

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Figlio della strada ama definirsi il rapper napoletano Ivan Rovati De Vita, al secolo Dope One MC. Classe ’83 e nativo di San Giorgio a Cremano, Dope One rappa da quando aveva solo 12 anni ascoltando soprattutto i dischi del grande Krs One e rispettandone i messaggi. Trasferitosi in più contesti popolari, da San Giovanni a Teduccio a Forcella, da Casalnuovo ad Acerra, ha vissuto le strade di periferia e ha fatto di queste un valore aggiunto alla sua arte. Non a caso il primo palco che calca nella sua vita è uno storico di periferia: quello di Officina, nel periodo in cui i 99 Posse e gli “Skillz Delector” danno ai giovani la possibilità di esprimersi per la prima volta attraverso il freestyle. Tra tutti, però, il giovane Ivan spicca particolarmente, tanto è che da quel momento molti artisti fanno a gara per collaborare con lui o per averlo nelle proprie crew, da Jovine a Clementino, da Speaker Cenzou, suo mentore, agli stessi 99 Posse (che lo hanno “adottato” facendosi accompagnare da lui nell’ultimo tour).

Dopo molta formazione e la partecipazione a diverse crew, dai K.I.C. ai Free Style Concept (in compagnia di OXROC,BEREAKSTARR E AFRO) e dopo aver inciso diversi dischi in compagnia di altri colleghi, come Armageddon feat. Clementino e Oluwong, Dope One sta per tirar fuori il suo primo disco solista, atteso da tanti e che ci racconta in anteprima in quest’intervista.

Come nasce questo progetto e come si chiamerà?

Questo progetto nasce con un concept ben preciso: mescolare campioni di musica diversa, che spaziano dal soul, al rock, dal reggae, alla dancehall. Dopo aver realizzato i beat, ho cominciato ad invitare nel mio disco alcuni tra i migliori musicisti napoletani, come quelli di Jovine e dei 99 Posse. Il risultato è stato l’amalgama tra il rap classico e la musica suonata. Il senso di tutto è far capire che il rap è un genere versatile, melodioso anche se fatto a cappella o con un semplice assolo di chitarra o di sassofono di sottofondo. Riguardo al titolo ho un po’ di idee, ma voglio pensarci bene perché trovarne uno giusto è come farsi un tatuaggio. Sai che rimarrà un segno indelebile nella tua vita.

Le tematiche che hai scelto, invece?

Ci tengo a fare una piccola premessa in merito. Ho avuto delle proposte da parte di alcune major discografiche italiane ma volevano impormi delle tematiche e dei sound che non mi rispecchiavano assolutamente. Di conseguenza ho rifiutato le offerte e ho preferito autoprodurmi il disco. Non potevo parlare di come si comporta lo Stato con le persone, delle cose assurde che ascolto durante i telegiornali, di ciò che i miei stessi occhi vedono in mezzo alla strada in maniera soft, come vorrebbero le grandi etichette. Va bene rappare solo per far divertire il pubblico, rispetto le canzoni solari di altri colleghi, ma non è la mia concezione di rap. Per me scrivere versi è una questione seria, è una valvola di sfogo, è come l’allenamento costante di un pugile che prende a pugni il saccone. Detto questo il mio cd parlerà di diversi argomenti: dalla lotta alla criminalità organizzata del Sud (mafia, camorra, Sacra Corona Unita e ‘Ndrangheta) all’orgoglio di essere napoletano a delle vere e proprie celebrazioni alla vita. Per quanto riguarda il tema importante della politica ho sempre sostenuto che la mia sia quella hip hop. Ritengo che sia una delle migliori politiche esistenti e per rendercene conto è sufficiente ascoltare un qualsiasi discorso di Afrika Bambaataa, gruppo tra le mie principali fonti di ispirazione musicale.

Quali sono le tue principali fonti di ispirazione musicale partenopee?

La mia principale fonte di ispirazione napoletana è Speaker Cenzou, nonché il mio mentore. Ritengo il suo primo album “Bambino cattivo” dei primi anni ’90 ancora incredibilmente attuale. Attraverso Cenzou sono arrivato ad ascoltare i 99 Posse, che rappresentano la storia di Napoli. Sono cresciuto con i loro testi nelle orecchie. La voce e l’ideologia di Zulù hanno influenzato molti di noi in tutti questi anni. Infine, l’incontro con Jovine ed i suoi musicisti mi hanno portato ad essere ciò che sono oggi. Infatti, sia i 99 Posse che Jovine saranno ospiti nel mio prossimo disco. Confesso che tutt’oggi mi capita ancora di non capacitarmi di accompagnare i 99 Posse in tour. A volte non ci credo che condividiamo il palco insieme, se penso a quando ero solo un ragazzo come tanti e facevo freestyle per le prime volte nella mia vita ad Officina, nella periferia di Gianturco.

Nella tua vita hai abitato quasi sempre in case popolari. Quanto le esperienze di periferia hanno contaminato la tua musica?

Molto. Cito il grande maestro Enzo Avitabile che dice nel disco dei 99 Posse all’interno del brano “Napoli, Napoli, Napoli”: “E cas’popolari m’assumegliano, sono l’aria e ‘a distanza che m’ fa viaggiá”. Solo chi è cresciuto in certi ambienti può comprendere il vero valore di questa frase. Nelle case popolari c’è un clima di grande umanità e visceralitá che si manifesta dallo scambio di cibo allo scambio di confidenze via balcone. Vivere la periferia e i sobborghi di Napoli mi ha sempre aiutato nella vita e nel rap. Mi sono sempre sentito allo stesso livello delle persone comuni che non arrivano neanche a fine mese e la mia musica è dedicata soprattutto a loro, che chiamo in causa denunciando  ciò che subiscono. Di questi tempi, possiamo ritrovarci tutti in mezzo ad una strada. Perciò siamo molto vicini ai ragazzi di San Modestino (Benevento) che rimanendo senza niente hanno occupato le case popolari della zona. Abbiamo suonato per loro con Jovine ed è stata un’esperienza molto bella perché c’era una vera immedesimazione personale nella situazione. La periferia comunque continua ad essere una grande fonte d’ispirazione per me contro i luoghi comuni: il napoletano non può essere etichettato solo come camorrista, così come il genere rap non può limitarsi a parlare solo di donne e automobili sportive. Questa è un po’ la filosofia di tutti i ragazzi rapper figli della strada.

Hai scelto altri rapper figli della strada per collaborare nei tuoi quattro dischi? Quanto i tuoi precedenti lavori hanno influenzato il tuo disco solista?

I miei precedenti dischi sono stati “Equalizer” con Oluwong, “FreeStyle Concept” con i BreakStarr, “Underground Science” con TuEff e Sonakine e “Armaggedon” con Clementino e Oluwong. I rapper ed i beatmakers che hanno partecipato a questi lavori sono sicuramente dei grandi amici che come me hanno vissuto certi tipi di situazioni. Ad esempio Clementino viene dal rione Gescal di Cimitile, Sonakine da Villaricca, BreakStarr da Barra e così via. Siamo cresciuti negli ambienti più popolari ed anche questa cultura ha unito ancor più me e i miei colleghi. Oggi gente frustrata scrive sui social-network che nel rap è morto il concetto di fratellanza. Non sono affatto d’accordo, per me questo è un riflesso di chi passa troppo tempo davanti ad una macchina virtuale che fa attivare il cervello, ma non il cuore. Nei dischi in compagnia delle mie crew viene dimostrato l’esatto contrario: c’è tanto cuore e fratellanza. Con i miei fratelli ci siamo divisi tutto, anche un pezzettino di pane e per questo li porto sempre dentro me. Dopo quattro esperimenti del genere, oggi però sento proprio il bisogno di scendere il campo a 360 gradi e mettermi in gioco come solista. È arrivato il momento giusto!

Fai un piccolo freestyle per i lettori di Insorgenza…

“E pure se teng’ nu sottofondo assurd e na canzone ca nun ‘a sacc’// ‘O Stesso spaccio robb’ ro Sud//

Chesta è robba ca vene da Napule, comm’ a Enzo Avitabile// ‘O saje ‘o facc tutte e juorne, tutt’ e semmane, tutt’e mise//

E tutt o mese stong ‘ncopp a nu microphone// Comm ‘ncopp ‘o sassofon, ie stong ‘ncopp o microfon//

James Senese rind’a cervella, Napoli central, rime c’a pal// Insieme a Fratmo TuEff nun simm’ nu bleff//

Rapresentamm Napoli, Chist’ è ‘O Sud, Chist’ è ‘O Sud// Napoli va cercann ‘e miracole, ma nun è Lourdes//

Stamm’ ancora cca’ pure se sto facenne ‘o rap ncopp a ‘nu piezz ‘e Vasco Ross, ca nun c rappresent//

‘A gente pienz ca ‘o Sud ce stanno ‘e boss, ma nuje simm’ gent’ tranquill, se vuò facce ‘nu squill//

simm gente arzill ca cantamm’ come ‘e cardill// Stamm ‘ncopp ‘e marciapiede, pe’ chi conosce chesta fede// Napoli, Dope One è l’erede//

Rappresent’ come e 99 Poss// Legalize come Peter Tosh, quann m’o ffumo e me vene ‘a toss//

Chest’è Napule, ‘O Sud e arèt’ e vic nascost//

‘Nu saluto a tutt quant, pure a Sorema ca m’ sta affianc// Napule, nuje simm ‘nu branc, nun simm’ mai stanc…”

Eugenia Conti

INTERVIEW WITH ENZO AVITABILE / "Ai giovani consiglio solo di seguire l'ispirazione"

Budapest, HUNGARY: Saxsophonist-singer from Naples Enzo Avitabile (R) of Italy presents his programme with his band and the most prestigious percussion rythm band of the area, the 'Bottari di Portico' on the 'World Music' stage at the Island Festival on Hajogyar Island of Budapest late 11 Augustus 2006. The annual Sziget Festival in Hungary, held from 09 to 16 August, will beat all previous records, according to the organisers of the eastern European country's biggest music festival. With 550 concerts on 66 stages over seven days, featuring everything from pop to gypsy music, the 14th Sziget Festival is expecting some 400,000 music lovers to converge on an island in the middle of the Danube river, in the heart of Budapest. AFP PHOTO / ATTILA KISBENEDEK (Photo credit should read ATTILA KISBENEDEK/AFP/Getty Images)

Era il 1986 e lui invitava tutti, nel suo omonimo primo album, a salire sul “soul express”, treno dell’anima e della sua musica, quella che dagli anni ’80 avrebbe segnato una delle pagine più importanti della storia della canzone napoletana.

Oggi è il 2014, sono passati quasi 30 anni, ma il maestro Enzo Avitabile, nonostante la sua fama oseremmo dire mondiale, continua a vivere nella sua Marianella, nell’area Nord di Napoli, nella semplicità e a stretto contatto con la sua gente.

Lo abbiamo raggiunto proprio in periferia, nella sede della sua associazione e studio di registrazione, atmosfera tra blues e jazz: inevitabile, dunque, entrare in un’altra dimensione, quasi in un’altra epoca.

Sulle pareti le foto in bianco e nero di Avitabile in compagnia dei più grandi nomi internazionali, da Tina Turner, a James Brown, parlano di momenti magici della storia della musica. La chiacchierata la facciamo con un microfono, davanti ai ragazzi dell’associazione. Così, con nelle orecchie “Napoli Napoli Napoli” dei 99 posse e “A’Verità” di Rocco Hunt – brani che vedono entrambi la partecipazione di Avitabile – ci sembra importante cominciare proprio dalla storia. Soul express.

Enzo, tra gli artisti di oggi chi porteresti su quel magico treno del soul?

Tutti. La non discriminazione è una cosa fondamentale. Posso suonare e cantare con qualunque artista, ma ad una sola condizione: ci deve essere un’ispirazione tra di noi, un’intesa che ci possa unire su questo treno dell’anima.

Una lunga ispirazione o intesa l’hai avuta con Pino Daniele. Quanto è stata importante per te la collaborazione artistica con lui e il gruppo di allora?

Non si è trattato di una semplice collaborazione artistica: in quel caso abbiamo creato insieme qualcosa. Collaborazioni artistiche importanti sono state quelle con gli Afrika Bambataa o con James Brown, ma con i miei fratelli è stato importante proprio lo stare insieme per generare la nostra musica. Negli anni ’80, volevamo sostituire una melodia tradizionale ed un dialetto stereotipato con un dialetto che oggi definirei d’effetto, uno slang nostro. In questa continua ricerca e lavoro, siamo sempre rimasti vicino alle periferie. Si pensi che nel 1982 portammo gli Afrika Bambataa a Scampia. Questo era il messaggio che volevamo dare io, Pino e gli altri fratelli e che abbiamo cercato di tramandare. Dopo di noi, a suonare secondo queste logiche ci sono stati gli Almamegretta ed i 99 Posse, poi siamo tornati in scena, c’è stato il turno dei CoSang e di nuovo io… Ma l’importante non è il momento, l’anno, ma il ciclo musicale e la tradizioni a cui si è dato vita.

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Recentemente hai collaborato al vecchio/nuovo album dei 99 posse. Come nasce e perché questo featuring?

Ho voluto partecipare al disco perché tra di noi, appunto, c’è un’ispirazione,  a parte un’eterna amicizia. Mi piaceva rivivere “Napoli, Napoli, Napoli”, con un intervento musicale, una sorta di finto inciso, che fosse quasi un taglio nella tela. Volevo testimoniare che Napoli esiste ancora. Esiste nella parte periferica, nella parte nascosta, dalle case popolari, a Marianella, Ponticelli, San Giovanni. Quello che raccontó ‘O Zulù è ancora vera, è vita vissuta. Oggi, però, la periferia è cambiata ed è diventata città. Anzi, di più.

Trovi Napoli  molto cambiata da quando hai cominciato il tuo percorso artistico?

È cambiata perché c’è una periferia da Est ad Ovest, un asse, dalle grandi risorse artistiche, che hanno reso Napoli più grande. Parlo di quella parte che un tempo era fuori le mura della città e che, da sempre, è stato un faro illuminante per la produzione di musica. Questa zona qui ha avuto innanzitutto Alfonso Maria De’ Liguori, Sant’Alfonso, inventore della musica sacra popolare. Musica che dalla liturgia, diveniva popolare grazie all’utilizzo del dialetto. Poi, posso fare nomi emblematici come gli Showman e Pino Daniele. Per quanto mi riguarda resterò sempre tra Marianella, Piscinola e Miano.

Sei molto legato al tuo essere napoletano, tanto è che hai vinto il premio Tenco più volte. Ma quanto soul c’è nel napoletano?

Io penso in napoletano. Sincronizzare il pensiero con la parola velocemente è il nostro obiettivo nella vita. Il napoletano ti dà proprio la possibilità di raccontare velocemente quello che senti. L’italiano, però, é molto importante perché lo usiamo laddove non possiamo arrivare con il dialetto. Utilizzo la lingua napoletana quando devo parlare più con il cuore, quando voglio esprimere ciò che c’è nel più profondo dell’anima.

A proposito di premi, fosti definito ingestibile dalla Emi perché non partecipasti a Sanremo. Consiglieresti ai giovani di seguire la tua stessa strada di libertà verso certi condizionamenti?

Rifiutai Sanremo perché la EMI mi voleva condizionare troppo, altrimenti se avessi potuto suonare la mia musica senza influenze esterne, l’avrei fatto anche tutti gli anni. Ai giovani non consiglio nulla perché devono essere liberi di fare quello che vogliono. È inutile che una persona più grande stia a dare insegnamenti, perché i ragazzi devono essere se’ stessi. Ad esempio Rocco Hunt, che ormai per me è un figlioccio e col quale c’è una bellissima collaborazione, ha fatto bene ad andare a Sanremo perché si ritrova numero 1 nella classifica dei dischi e nell’opinione pubblica. Dunque, lunga vita ai giovani e che facciano quello che sentano.

Per concludere, hai avuto una carriera eccezionale sia come solista, che in gruppo. Hai duettato con nomi mondiali, dagli Afrika Bambataa, a James Brown, a tantissimi altri. Arrivato ad oggi hai qualche rimpianto o qualche desiderio ancora non avverato?

Non ho rimpianti, ho avuto tantissimo e ringrazio ogni giorno Sant’Alfonso per questo. La vita è fatta comunque di gioie e dolori. Ho avuto un enorme successo, ma allo stesso tempo ho dovuto accettato la morte prematura di mia moglie. Ho capito che la vita come da, così ti toglie. E se dovessi rinunciare a tutto, alla mia brillante carriera, a questi anni, alla fama, per avere indietro la vita di Maria lo farei senza nessun ombra di dubbio. L’unica cosa che desidero ancora fare in questa vita e nella mia carriera è un duetto con Stevie Wonder. Prego Sant’Alfonso perché avvenga.

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Eugenia Conti