MASCALZONI LATINI / Auguri a Pino Daniele per i suoi 59 anni

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9 marzo, San Giuseppe e festa del papà. Ma c’è qualcuno di molto speciale che, oltre a festeggiare l’onomastico, compie anche gli anni in questa data. E’ Pino Daniele: 59 anni, di cui 40 dedicati alla musica.

Aveva appena 21 anni quando entrò a far parte, come bassista, di quella Napoli Centrale, che tanto ha segnato una generazione partenopea. Solo 22, invece, quando uscì l’album d’esordio: “Terra mia”, primo disco di un ragazzo innamorato della sua terra, delle sue radici, della sua cultura e che aveva voglia di gridare al mondo intero tutto il suo amore per la straordinaria città di Partenope. “Terra mia” sarà il primo di ventitre album, che l’artista inciderà durante il corso della sua lunga carriera.

Oggi, ci sembra giusto e doveroso celebrarlo. Pino, tanto amato dal suo popolo, vera icona musicale, col suo blues e col suo suo jazz. Propulsore col “Neapolitan Power”, assieme ad altri pilastri del genere come Tullio De Piscopo, James Senese, Toni Esposito, di una vera e propria corrente musicale, culturale e di pensiero.

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Ha 59 anni adesso e nonostante i problemi di salute passati, non vuole assolutamente abbandonare la colonna portante della sua esistenza: la musica. Infatti,  sorprende sempre con qualche nuova data esclusiva i fans, spaventati e preoccupati di non poterlo ascoltare più in live. E così dopo il grande successo del Palapartenope a Napoli durante le vacanze natalizie 2013/2014, c’è grande attesa per il concerto che Pino il prossimo 1 settembre 2014 terrà al Nord, nella lontana Verona, in quell’arena prestigiosa, palcoscenico di moltissimi artisti a livello mondiale.

Il concerto si chiamerà “ Nero a metà” e sarà tutto dedicato al terzo album del cantante, dall’omonimo titolo. Durante lo spettacolo, saranno protagoniste molte tra le sue canzoni più belle di sempre. Da “A me me piace ‘o blues”, a “Quanno chiove”. Per l’occasione, sul palco assieme a lui, salirà la band originale degli anni ‘80: l’immancabile James Senese al sassofono, continuando con Tony Cercola al bongos, Agostino Marangolo alla batteria, Gigi De Rienzo al basso, Ernesto Vitolo alle tastiere ed, infine, Rosario Jermano alle percussioni. Oltre al gruppo storico, la performance sarà arricchita dall’aggiunta di ben cinquanta componenti dell’Orchestra Sinfonica “Roma Sinfonietta”, diretta dal maestro Gianluca Podio, che contribuirà a rendere il tutto ancora più magico.

Tutti in attesa, quindi, di “Nero a metà”, dove il nero sta a rappresentare l’anima artistica del cantante, riproiettata e rivissuta interamente nel suo sound così black, ma a metà perché Pino è mediterrano ed ancora legato al posto che gli ha dato i natali e lo ha reso la pietra miliare che è oggi. La sua e la nostra Napoli. Vaj mo, Pino. Auguri.

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Eugenia Conti

INTERVIEW WITH THE RIVATI / Quando la Black music si sposa col Neapolitan Power

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Funk, soul e blues napulitani uniti alla black music africana: è una mescolanza di sound quella dei  TheRivati, derivanti appunto dall’influenza di più generi. Paolo Maccaro, nolano classe ’85 e Marco Cassese, napoletano classe ’82, sono l’anima e le voci di questo progetto nato casualmente ed all’improvviso, come ci spiegano subito.

“Da sempre entrambi scrivevamo testi e componevamo basi. Un giorno guardando Mtv Day e rendendoci conto di tutta la spazzatura musicale commerciale che c’era in circolazione, ci siamo detti: Proviamoci! Abbiamo trovato una band e creato i TheRivati, supported By San Gennaro.”Dopo l’album di esordio “Chiù ner ra midnight”, a fine 2013 è uscito “Black”, secondo lavoro del gruppo.

TheRivati supported by San Gennaro. Qual è il legame con San Gennaro, oltre che santo, icona di Napoli?

Sicuramente è un simbolo emblematico. Con San Gennaro abbiamo un rapporto d’attesa, da lui aspettiamo il miracolo. E poi era l’unico disposto a sponsorizzarci, tanto è che l’abbiamo scelto come icona del nostro logo. È indiscusso il valore che il Santo rappresenta per ogni napoletano: per tutti, una fonte di ispirazione.

Nel vostro ultimo album: Black, avete scelto di cantare esclusivamente in napoletano. Cosa significa per voi?

Abbiamo scritto in passato anche pezzi in italiano, ma è il napoletano la nostra vera lingua. Sembra essere fatta apposta per essere tramutata in musica. È piacevole e melodica. Ci capita di scrivere le parole di un testo in napoletano e di immaginarne immediatamente dopo la melodia sotto, come se prendesse magicamente forma da sola. Insomma, è una lingua unica. Ed è da stupidi essere artisti napoletani e non utilizzare la propria lingua, visto che abbiamo la fortuna di conoscerla e di poterla utilizzare per portare avanti un percorso culturale.

Il vostro genere spazia dal funk al blues. Intendete rilanciare una scena partenopea black attuale sulla scia del Neapolitan Power?

Sì: la black music è un incontro tra funk, blues e soul. Oggi, richiamando il Neapolitan Power, cerchiamo di riproporre una scena forte per questo genere a Napoli. Oggi, la musica black partenopea è una realtà ancora non affermata o seguitissima, come poteva esserlo in passato, negli anni ’70.  E nemmeno è un fenomeno di massa come sta accadendo per l’hip hop in Campania negli ultimi anni. È più un fenomeno di nicchia, che stiamo cercando di fare arrivare a tutti.

“Black”, album 100% napoletano. Quali le tematiche?

Il titolo Black è un omaggio al genere che trattiamo, ovviamente, alla musica afro-napoletana. Un filo diretto di collegamento che va da Napoli, ai ritmi africani. Le tematiche trattate vanno dal sesso, all’amore non corrisposto, a temi più impegnati come l’emigrazione della nostra gente. Esperienza che ci ha toccato direttamente, che abbiamo vissuto in prima persona visto che siamo stati costretti a trasferirci entrambi a Roma per nove anni. Ora che il nostro progetto è in espansione, siamo tornati qui nella nostra terra. Precisamente, a Cimitile, nell’agro-nolano, al centro della Terra dei Fuochi.

Avete pensato di scrivere qualcosa sulla terra dei fuochi o per sfatare i luoghi comuni su Napoli e i napoletani?

Sulla terra dei fuochi abbiamo deciso di “non uniformarci” ad altri. In futuro si vedrà perché riconosciamo che sicuramente è positivo che se ne parli. Basti pensare al giovane Rocco Hunt che, qualche giorno fa, ha portato la tematica a Sanremo, vincendo per giunta. Possiamo anticipare, però, che nel nostro prossimo disco a cui già stiamo lavorando ci sarà un brano contro le brutte etichette con cui Napoli viene sempre contraddistinta. La massa deve sapere che Napoli non è peggio di Torino, di Milano. Oggi, purtroppo, sembra una gara a chi sparla di più della città. Ma tralasciando tutte le battute ed i tanti luoghi comuni su Napoli, per ultima la polemica sanremese con la Littizzetto e la Gialappa’s, riteniamo che qui ci sia un problema oggettivo, quello della Terra dei Fuochi, da risolvere assolutamente. Certo, la musica può essere un ottimo megafono per urlare la voce di molti. Deve essere il faro da cui farsi dirigere.

Progetti presenti e futuri?

Abbiamo composto la colonna sonora del nuovo film “La legge è uguale per tutti”, con la regia di Ciro Ceruti e Ciro Villani, che sarà nelle sale da oggi. Stiamo collaborando con vari artisti, tra cui Clementino per dei featuring nel suo nuovo disco e mentre continua la promozione di “Black”, abbiamo cominciato a lavorare anche ad un nuovo nostro disco, che uscirà tra qualche mese.

Eugenia Conti

INTERVIEW WITH LA MASCHERA / L'emergente blues band napoletana spopola con la sua "Pullecenella"

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I vicoli sono quelli del centro storico di Napoli, Pignasecca, Montesanto, Spaccanapoli, dove ogni pietra racconta di arte e poesia, folklore e storia, miseria e nobiltà. E’ qui che la band emergente dai connotati blues “La maschera” ha ambientato la clip di “Pullecenella“, il loro primo singolo, che ormai sta spopolando ovunque, dalle radio al web e persino dagli schermi televisivi delle metro, della circumvesuviana e della circumflegrea, che passano a loop le immagini girato dal regista Enzo Caiazzo, che su youtube hanno superato le 27mila visualizzazioni.

I Pulcinella’s boysRoberto Colella, voce, chitarrista e tastierista,Vincenzo Capasso, trombettista, Eliano Del Peschio, bassista, Marco Salvatore, batterista, Roberto Guardi, percussionista ed Alessandro Morlando, chitarrista solista – oltre a riscuotere consensi nei molteplici live in cui si stanno esibendo, a marzo – pur senza il sostegno di un produttore – lanceranno il loro primo album. Ne parliamo con Roberto, voce e anima della band. “La maschera nasce per un incontro casuale tra me e Vincenzo, il trombettista. Da subito abbiamo notato una certa affinità tra i suoni della sua tromba e quelli della mia voce e chitarra. Così, abbiamo messo in piedi questo progetto e formato la band attuale”.

Perché “La Maschera”?

Ci siamo ispirati alla maschera per quella sorta di dualismo che nasconde, ma anche perché attraverso i testi delle nostre canzoni vogliamo smascherare la realtà, valorizzando però il legame con una certa tradizione teatrale napoletana, dove il ruolo della maschera è pregnante. Non a caso, il primo singolo che abbiamo lanciato è “Pullecenella”, ha per protagonista un personaggio assolutamente teatrale e che richiama alle tradizioni, alle origini, che noi però proponiamo in chiave moderna.

Pulcinella ha un forte legame con l’identità partenopea. Per voi cosa rappresenta?

Pulcinella è la maschera di Napoli, profondamente legata alle sue radici. Ma non è solo un personaggio divertente: ha anche connotati negativi e vizi, tra cui quello dell’alcool. Allo stesso tempo, però, rappresenta la spensieratezza e la voglia di fare tipica del napoletano. Il Pulcinella della nostra canzone, poi, punta il dito sulla mancanza di comunicazione che c’è oggi tra i napoletani e, forse, tra le persone in generale. Nel brano, Pulcinella canta e balla lungo la strada per allietare i pensieri dei passanti e per alleviargli la giornata: eppure nessuno gli dà ascolto. “Io me ne vac’ pa strada mia, tant’ cchiù nera ra mezzanotte nun può venì” è la sua risposta. Insomma:  non lotta, non cerca di affermarsi, preferisce andarsene. Per noi è la metafora dell’annullamento dell’azione collettiva, della mancanza di ribellione e dell’interessarsi soltanto all’individualità. È un’allegoria della società moderna, riferita sia a Napoli, che al meridione. L’ abbiamo resa, però, in una chiave più leggera perché spesso la leggerezza può dare un trasporto maggiore al messaggio. Pulcinella è insomma, ieri come oggi, metafora di Napoli, città dalle mille contraddizioni che, nonostante le incessanti angherie, risulta impossibile da odiare: città che prende continue batoste, ma che si rialza sempre, città in cui, purtroppo, a causa dello sputtanamento mediatico, si parla solo delle cose brutte e le cose belle finiscono nel dimenticatoio.

“Pulecenella” è estratto in anteprima dal vostro primo disco in uscita a marzo. 

Sì,  a marzo uscirà l’album “‘O vicolo ‘e l’ alleria”, un titolo tratto proprio dal testo dalla canzone Pulecenella, nella parte in cui dico:”Vien’ cu’mme, t port int’ o vicolo ‘e l’alleria”. La speranza è che tutti i napoletani possano trovare questo vicolo, posto astratto in cui regna la felicità, il benessere, “l’alleria”. Ma il nostro sarà un disco anche di denuncia sociale: ad esempio ne “Il ballo del potere”, ci chiediamo come sia possibile vivere la vita che vogliamo veramente visto che siamo già dei burattini nelle mani del potere. Ci sarà spazio ovviamente per brani più leggeri, ma prevalentemente ci saranno più pezzi impegnati, ma apolitici ed apartitici. Ma soprattutto antisistemici: il Sistema lo combattiamo e non facciamo parte di nessuno schieramento.

Siete almeno dell’idea che l’ unico schieramento possibile sia quello a favore del Sud per un suo futuro riscatto?

Assolutamente si. Già con la nostra musica ci schieriamo a favore di un Sud che va valorizzato. La musica può risvegliare le coscienze delle persone e può creare quello svago che fa anche riflettere. Quindi il  connubio è perfetto. Ma naturalmente la sola arte non puó bastare per risollevare le sorti del mezzogiorno anche se è un ottimo veicolo di consapevolezza. Di certo, per poter guardare al futuro, bisogna ricordarsi sempre del passato e, soprattutto, di tutte le cose negative che noi meridionali abbiamo subìto, per evitare che ci riaccadano un domani.

Nel nuovo cd c’è anche un brano per la terra dei fuochi, da cui provenite?

Noi veniamo dalla periferia Nord-est di Napoli, da Chiaiano, Mugnano e, perciò siamo in piena terra dei fuochi. Il brano si chiama “Gent’e nisciun” e lo abbiamo scritto con la compagnia teatrale di Raffaele Bruno, che si occupa della parte recitata. Per noi la periferia è un valore aggiunto alla città ma trattare il tema dell’inquinamento delle nostre zone era il minimo: amiamo le nostre origini, la nostra terra, dovevamo farlo.

Le vostre origini influenzano a che punto il vostro lavoro artistico?

Tantissimo. Nel momento in cui scrivo una canzone sento forte il legame con quello che mi sta intorno. Credo anzi che le nostre canzoni non potrebbero parlare di altro. Scrivo prediligendo il napoletano, che peraltro ha una musicalità ineguagliabile. Nel cd i brani in italiano saranno giusto un paio. Una scelta, quella della lingua napoletana, che rimarca ancora di più il nostro senso di appartenenza. Prima di iniziare questo progetto avevo pensato alla possibilità di andare fuori: invece non accadrà, ho capito che voglio restare a Napoli, non voglio andarmene mai, perché andar via è una mossa da vigliacchi, specie se sei un artista.  Sì, ho capito che restare è necessario: se senti di aver qualcosa da dire e senti che le persone possono capire il tuo linguaggio, restare è un dovere, come è un dovere lottare.

Eugenia Conti